In tribunale, la verità dovrebbe essere il fondamento di ogni decisione. Nelle cause per risarcimento danni da circolazione stradale, prove documentali e soprattutto testimonianze servono a ricostruire la dinamica dell’incidente e a garantire indennizzi equi.
Tuttavia, in questo contesto si è diffuso un fenomeno insidioso: la falsa testimonianza, spesso utilizzata per favorire truffe assicurative. Non si tratta di un dettaglio marginale: le conseguenze ricadono su cittadini, istituzioni e mercato assicurativo. Le deposizioni mendaci provocano effetti concreti: aumentano i premi RCA, sottraggono risorse a chi ha diritto a un risarcimento reale e rallentano i tempi della giustizia. Nonostante anomalie evidenti, molti giudici – in particolare i giudici di pace – continuano ad accogliere domande basate su testimonianze sospette, creando un terreno fertile per frodi sistemiche.
1. Le tre facce della menzogna
Il fenomeno dei falsi testimoni si manifesta in diverse forme, tutte documentate da giurisprudenza e compagnie assicurative.
– Testimoni inesistenti o identità falsificate
Non di rado, nei processi per risarcimento danni da circolazione, compaiono testimoni che in realtà non esistono. Le loro generalità sono inventate o supportate da documenti falsi, costruiti ad arte per sostenere la pretesa risarcitoria. Le compagnie assicurative, grazie all’incrocio dei dati fiscali e anagrafici e alle verifiche effettuate tramite l’Anagrafe Testimoni IVASS, riescono a individuare anomalie e a sollevare puntuali eccezioni davanti al giudice. Tali eccezioni, però, restano troppo spesso lettera morta: molti giudici di pace non dichiarano la nullità insanabile della testimonianza, né dispongono la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica. Si tratta di un vuoto gravissimo, perché la giurisprudenza è chiara: la falsità del documento comporta la nullità radicale della deposizione (Cass. Civ., Sez. III, n. 13954/2006; Cass. Pen. Sez. V, n. 25487/2018), e un’identità fittizia travolge l’intero impianto probatorio (Cass. Civ., Sez. III, n. 21543/2017).
Non solo: tali condotte integrano reati penali di estrema gravità – dalla falsa testimonianza alla falsità ideologica e materiale in atto pubblico – che dovrebbero essere immediatamente perseguiti per tutelare non solo le compagnie, ma l’intero sistema della giustizia e della legalità.
– Testimoni ricorrenti o “di professione”
Alcune persone compaiono sistematicamente in più cause, superando il limite legale di tre testimonianze in cinque anni (legge 124/2017). Nonostante le segnalazioni alle Procure e la disponibilità dei dati IVASS, in molti casi i giudici non adottano provvedimenti e ritengono valide le loro deposizioni, perpetuando un meccanismo sistemico. Sentenze come quella del Tribunale di Napoli, sez. II, n. 1336/2019, confermano che la frequenza sospetta di un testimone mina la credibilità delle dichiarazioni, ma spesso non basta a impedire decisioni favorevoli ai truffatori
– Testimoni tardivi o non indicati
Uno dei fenomeni più insidiosi nelle frodi assicurative è quello dei cosiddetti testimoni tardivi: persone che compaiono solo in fase processuale, senza essere state indicate né nella denuncia di sinistro né nella messa in mora. Questa prassi compromette gravemente l’attendibilità della prova testimoniale e suggerisce, nella maggior parte dei casi, la presenza di testimoni “di comodo” costruiti ad arte per rafforzare una domanda risarcitoria.
La normativa vigente, in particolare l’articolo 135 del Codice delle Assicurazioni Private, prevede – per i soli danni a cose – che i testimoni siano indicati già nella richiesta di risarcimento, a pena di inammissibilità della prova. Tuttavia, l’applicazione concreta di tale principio è tutt’altro che uniforme: non è raro che i giudici, pur in presenza di omissione, ammettano comunque la prova testimoniale tardiva, svuotando di efficacia la ratio preventiva della norma. La giurisprudenza più attenta ha invece ribadito che la mancata indicazione tempestiva incide “in radice” sull’attendibilità delle dichiarazioni successive (Trib. Napoli n. 1743/2016; Corte App. Napoli n. 901/2012), evidenziando come sia poco credibile che una parte “dimentichi” di segnalare un testimone oculare per poi ricordarsene dopo anni. Il problema risulta ancora più acuto nei sinistri denunciati al Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, specialmente nei casi di “veicolo pirata”, dove l’assenza di testimoni tempestivamente indicati nella querela rende di fatto impossibile accertare la reale esistenza del sinistro, esponendo il Fondo a tentativi di frode.
Serve quindi una linea interpretativa e applicativa coerente, che restituisca piena efficacia alla funzione preventiva dell’indicazione dei testimoni. Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo, non basta una corretta applicazione delle norme esistenti: occorre intervenire sulle loro lacune strutturali, che nascono proprio da una distorsione introdotta dal legislatore con la modifica dell’articolo 135 del Codice delle Assicurazioni.
2. Articolo 135 del codice delle assicurazioni: una distorsione normativa che indebolisce la prevenzione
L’articolo 135 del Codice delle Assicurazioni Private, con i commi 3-bis e 3-ter introdotti dalla legge 124/2017, prevede, nel caso di sinistri con danni a cose, l’obbligo di indicare i testimoni già nella denuncia di sinistro o nella messa in mora, nonché, in mancanza, l’onere per l’impresa assicurativa di richiedere eventuali integrazioni entro sessanta giorni.
A prima vista, la disposizione sembrerebbe rafforzare la disciplina dei testimoni; tuttavia, un’analisi attenta del quadro normativo evidenzia come essa risulti frammentaria, incoerente e potenzialmente controproducente.
Gli articoli 143, 145 e, soprattutto, 148 imponevano già al danneggiato, ai fini della completezza della messa in mora e della proponibilità della domanda, di allegare la denuncia di sinistro (CAI o CID), documento che contiene una sezione specifica dedicata ai testimoni. Questo meccanismo originario aveva una funzione preventiva chiara: i testimoni dovevano essere indicati fin dall’inizio, riducendo drasticamente il rischio di dichiarazioni false o opportunistiche.
L’errore legislativo è iniziato con la legge 27/2012, che ha eliminato l’obbligo di allegare il CAI, indebolendo la funzione preventiva. La successiva legge 124/2017, intervenendo sull’articolo 135, ha di fatto creato un corto circuito normativo:
La funzione preventiva originaria è stata svilita, poiché l’obbligo oggi non copre i casi di lesioni personali, dove la possibilità di frodi è ancora più elevata;
L’onere aggiuntivo imposto alla compagnia è ingiustificato e rischioso: non solo aumenta il carico amministrativo, ma offre al danneggiato più tempo per individuare testimoni falsi, vanificando l’efficacia preventiva della norma.
È evidente, dunque, il grave disallineamento normativo che ne è conseguito: prima si è eliminata l’allegazione del CAI (art. 148), poi si è introdotto un obbligo parziale e tardivo con l’articolo 135.
La soluzione non può essere un intervento frammentario: è necessario un riordino organico della disciplina, che persegua obiettivi di chiarezza e coerenza. Per Civicrazia occorre:
Ripristinare l’obbligo di indicazione dei testimoni in maniera completa e preventiva, estendendolo a tutti i sinistri, sia per danni a cose sia per lesioni personali;
Eliminare l’onere integrativo per le compagnie, sostituendolo con l’inammissibilità automatica della prova in caso di mancata indicazione dei testimoni;
Armonizzare le disposizioni sugli allegati alla messa in mora, ripristinando la funzione originaria della denuncia di sinistro, con sezione dedicata ai testimoni, come misura preventiva organica;
Prevedere protocolli chiari e sanzioni certe per rendere effettiva la tutela contro le frodi.
Un intervento di questo tipo non rappresenterebbe una semplice correzione tecnica: ripristinerebbe la funzione originaria della messa in mora, ridurrebbe drasticamente le frodi testimoniali, semplificherebbe le procedure e rafforzerebbe la credibilità del sistema giudiziario e assicurativo.
Ignorare questa distorsione significa mantenere aperta una falla normativa che favorisce comportamenti opportunistici e penalizza i cittadini onesti.
3. Le ragioni dell’inazione giudiziaria
La diffusione dei falsi testimoni non è imputabile solo alle condotte fraudolente delle parti. Ci sono criticità strutturali che contribuiscono al fenomeno:
Superficialità e caos procedurale: le udienze sono brevi, i fascicoli voluminosi e i verbali redatti frettolosamente.
Strumentazione insufficiente: i giudici non dispongono di strumenti digitali per verificare in tempo reale l’identità e i precedenti dei testimoni. All’ingresso di molti uffici giudiziari non vi sono sempre controlli adeguati: chiunque può accedere liberamente, e ciò espone al rischio concreto che vengano introdotti testimoni improvvisati o addirittura reclutati sul momento. Lo scrivente ha più volte segnalato questa criticità con articoli ed esposti, ottenendo miglioramenti soltanto in alcuni fori, mentre altrove continua a regnare un’anarchia intollerabile.
Scarso interesse percepito: le controversie di risarcimento vengono talvolta trattate come pratiche di routine. Approfondire le circostanze e verificare la genuinità della prova richiede tempo e impegno, che spesso vengono sacrificati a favore della rapidità.
Modalità irregolari di raccolta della prova: ancora più grave è il fatto che, nella prassi, le deposizioni vengano spesso raccolte lontano dalla percezione del giudice, senza verbalizzazione da parte né del giudice né del cancelliere. Accade così che siano gli stessi avvocati a riportare le dichiarazioni, senza alcuna garanzia di fedeltà. In alcuni casi, data la scarsa informatizzazione degli uffici, le testimonianze vengono addirittura trascritte o registrate sui telefoni cellulari degli avvocati: una prassi inaccettabile che viola principi basilari di trasparenza, riservatezza e genuinità della prova. Il risultato è che testimonianze dubbie non vengono filtrate né verificate, e decisioni giudiziarie finiscono per poggiarsi su elementi inattendibili, con effetti devastanti: i cittadini onesti pagano premi assicurativi più alti, lo Stato perde credibilità e la legalità viene svilita. Si tratta, in ultima analisi, di pratiche che non solo aprono la strada a frodi sistematiche, ma rischiano di tradursi in vere e proprie violazioni costituzionali: del diritto di difesa (art. 24 Cost.), del principio di parità delle parti e del giusto processo (art. 111 Cost.), che presuppongono un accertamento pieno, rigoroso e trasparente della verità processuale.
4. Il costo sociale delle frodi testimoniali
Le reti dei falsi testimoni non sono improvvisate. Coinvolgono spesso avvocati compiacenti, intermediari e agenzie “specializzate” in risarcimento danni. In alcuni casi, le frodi sono parte di reti criminali organizzate che utilizzano le cause civili come strumenti economici.
Le conseguenze ricadono su tutti: premi assicurativi più alti, ritardi nei risarcimenti reali, risorse sottratte a chi subisce un vero danno e minore fiducia nello Stato. Ogni frode testimoniale è un danno alla collettività onesta.
5. L’Anagrafe Testimoni: uno strumento già esistente
L’Anagrafe Testimoni, disciplinata dal Regolamento IVASS n. 23/2016, raccoglie dati dei testimoni coinvolti nei sinistri automobilistici. Le compagnie trasmettono generalità, dati fiscali e informazioni sul sinistro. Tuttavia, pur rappresentando un passo importante verso la trasparenza, l’Anagrafe Testimoni presenta alcuni limiti: informazioni incomplete, accesso ristretto e aggiornamenti non uniformi. Per renderla realmente efficace, occorrerebbe integrarla con strumenti digitali di identificazione sicura, protocolli automatici di verifica e obblighi procedurali più rigorosi.
6. Proposte concrete per rafforzare la prevenzione
La complessità del fenomeno dei falsi testimoni richiede risposte sistemiche e coordinate. Non si tratta solo di creare nuove leggi, ma di valorizzare e rendere pienamente operativi gli strumenti già esistenti, integrandoli tra loro attraverso protocolli chiari, digitalizzazione e formazione. Le seguenti proposte pratiche e realizzabili delineano un percorso concreto per rafforzare la prevenzione, aumentare la trasparenza e rendere la giustizia più efficace nella lotta contro le frodi testimoniali.
Registro digitale nazionale dei testimoni: un registro centralizzato, collegato a ANPR e IVASS, potrebbe registrare ogni testimone con codice identificativo univoco, segnalando chi supera il limite di tre testimonianze in cinque anni. Così si ridurrebbero abusi e tempi di verifica.
Identificazione digitale sicura in aula: l’uso di CIE o SPID, confrontati con ANPR, permetterebbe di verificare in tempo reale l’identità del testimone. Nei casi più delicati, una verifica biometrica minima (riconoscimento facciale o impronta digitale) aumenterebbe la sicurezza, sempre nel rispetto del GDPR.
Indicazione preventiva dei testimoni: estendere l’obbligo di indicare i testimoni già nella messa in mora anche ai sinistri con lesioni personali — prevedendo, in caso di omissione, l’inammissibilità automatica della prova testimoniale — consentirebbe di ristabilire coerenza sistematica con gli articoli 143, 145 e 148 del Codice delle Assicurazioni. In tal modo si rafforzerebbe la funzione preventiva della norma, riducendo il fenomeno dei testimoni di comodo e restituendo efficacia all’impianto originario di tutela contro le frodi.
Ruolo attivo di IVASS e compagnie assicurative: IVASS e compagnie potrebbero coordinare i dati e supportare i tribunali nell’individuazione di schemi sospetti, garantendo aggiornamenti rapidi e uniformi.
Formazione per magistrati, cancellieri e avvocati: corsi obbligatori sulle frodi testimoniali, sull’uso degli strumenti digitali e sulle procedure di segnalazione migliorerebbero la qualità del controllo in aula.
Trasparenza civica e responsabilità pubblica: report annuali su testimoni sospetti o sull’uso del registro digitale, con dati anonimi, ma accessibili a cittadini e media, favorirebbero pressione sociale positiva e maggiore fiducia nel sistema.
Responsabilità penale per chi organizza o facilita le frodi: norme più severe nel codice penale per chi facilita reti di falsi testimoni, collegate ai reati di falsa testimonianza e frode assicurativa, avrebbero un forte effetto deterrente.
7. Chi deve intervenire
L’attuazione delle proposte richiede un impegno coordinato tra:
- Magistratura: verifiche approfondite e trasmissione tempestiva degli atti sospetti.
- IVASS: gestione dei dati e protocolli digitali uniformi.
- Compagnie assicurative: raccolta dati e collaborazione attiva con tribunali e IVASS.
- Ministero della Giustizia: linee guida operative e standard digitali.
- Cittadini e società civile: vigilanza, segnalazioni e pressione civica.
8. Per una giustizia più partecipata
Il fenomeno dei falsi testimoni può essere contenuto se istituzioni e cittadini collaborano attivamente. Ogni segnalazione, iniziativa civica o proposta volta alla trasparenza contribuisce a ridurre inefficienze, migliorare i procedimenti e rafforzare la fiducia nelle istituzioni.
Civicrazia promuove questo approccio, sottolineando che intervenire oggi significa costruire una società più affidabile, sicura e credibile domani.
Riccardo Vizzino; Avvocato,
Responsabile nazionale di Civicrazia contro le truffe assicurative






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