Mag 23, 2018 | Notizie | 0 commenti

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Una società vitale non può lasciarsi guidare da una cultura della morte

In questi giorni ricorrono i 40 anni dall’entrata in vigore della legge 194, promulgata il 22 maggio 1978 per introdurre l’aborto legale in Italia. C’è chi parla di una vera e propria “strage degli innocenti” con più di 6 milioni di interruzioni volontarie della gravidanza effettuate in quattro decadi e l’attenzione di molti oggi si concentra ovviamente sulle percentuali, su cosa sia cambiato in questi anni sia sanitariamente, sia quanto a cultura della vita e diritto della donna. Di certo, l’aborto sta subendo una vistosa flessione che per i fautori della pratica è tutta da imputare all’altrettanto notevole aumento di obiettori di coscienza, tant’è vero che, dopo altri interventi rilevanti di organismi internazionali, anche le Nazioni Unite si sono pronunciate sulle difficoltà delle donne italiane ad accedere ai servizi di interruzione della gravidanza: “Il Comitato per i Diritti Umani della Nazioni Unite ha espresso preoccupazione per le difficoltà che le donne devono affrontare per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza a causa dell’elevato numero di medici obiettori che si rifiutano in tutto il paese di effettuare il servizio”. L’elevato numero e la modalità di distribuzione dei medici che rifiutano di prestare il servizio in tutto il paese sono stati addirittura considerati come fonte di violazione dei diritti umani.

D’altro canto, l’Italia (e tutto il mondo occidentale) si trova investita da un vero e proprio tzunami che va sotto il nome di cultura della morte. Aborto ed eutanasia sembrano rientrare in un progetto di ingegneria sociale che pretende di voler leggere l’intera realtà solamente attraverso una visione economica: l’esistenza umana è un fattore di interesse economico tra tanti altri fattori e dunque gestita a seconda della sua utilità o meno rispetto al mercato. E dunque, una vita che non può essere accudita da una madre, o una vita non sana, come anche un anziano o un malato non più produttivo sono inutili per la società e quindi sopprimibili.

L’onda lunga di questo economicismo liberista e laicista ha reso però in parte inapplicabile la stessa legge 194, là dove obbligava alla creazione dei consultori, veri e propri punti di incontro per la vita e quindi pressoché inutili per una visione essenzialmente utilitarista: all’appello mancano infatti ancora più di mille consultori rispetto a quelli che erano stati previsti, gli orari di aperura sono insufficienti, non sono finanziati adeguatamente, manca il personale e quello presente (quasi mai in pianta stabile) la maggior parte delle volte si limita a trovare l’indirizzo del medico abortista. Mentre la norma era di tutt’altra grandezza: un punto di informazione, conoscenza e salute, ma anche e principalmente un luogo di incontro per trovare soluzioni di vita a pensieri di morte.

La cultura sempre più imperante che trova nella morte la soluzione a problemi etici che proteggono la sfera dell’esistenza umana, confligge irrevocabilmente con il diritto del concepito a venire alla luce, qualunque siano le sue condizioni di salute. Così si esprime Carlo Casini, presidente emerito del Movimento per la Vita: “Non è soltanto importante: è fondamentale. Se il figlio fin dal concepimento non fosse un essere umano, cioè uno di noi, cadrebbero tutte le ragioni laiche per difendere il diritto alla vita dei nascituri. Se il frutto del concepimento fosse davvero – come affermano alcuni estremisti radicali – un grumo di cellule, paragonabile a un coagulo di sangue o a un pezzetto di pelle, non avrebbe alcun senso contrastare l’aborto volontario, preoccuparsi per la sorte degli embrioni formati in provetta e congelati. Ma quello che va rimarcato è che, in realtà, la ragione e la scienza moderna provano che fin dal concepimento è presente un individuo vivente appartenente alla specie umana, cioè uno di noi”.

La vita, in qualunque sua manifestazione, è un diritto assoluto ormai profanato e da tale “scomoda”, e per certi versi contraddittoria, profanazione deriva una inquietudine per legislatori, giudici e scienziati che preferiscono allora distogliere lo sguardo, cioè non negare esplicitamente l’esistenza di un essere umano, ma comportarsi come se esso non ci fosse. È ormai tempo di bloccare questa “congiura contro la vita” e ricordare al mondo che “quel piccolo bambino non ancora nato è stato creato per una grande cosa: amare ed essere amato” (Santa Teresa di Calcutta).

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