Tanti luoghi comuni su Napoli e la sua gente; tanto da farne un trompe-l’oeil.
Inconsapevolmente tutto si infetta come una virosi nella quale l’agente infettante è l’immagine stessa del degrado, dell’apatia della indifferenza. Della teatralità svuotata del gesto significante; divenuta una gestualità informe, senza contenuti, senza vibrazioni.
É negli occhi della gente, nelle saracinesche dei negozi abbassate, nello spettro della disoccupazione incalzante.
É nelle aule dei tribunali, dove i rinvii sono, molte volte, oltre il termine di una vita media.
È nei rapporti di forza sbilanciati, nelle sudditanze.
È nella inerzia fine a sé stessa; che è l’inizio di ogni oscenità destrutturante.
È nella logica del profitto che attraversa la socialità come una eruzione simbolica, per una morte annunciata: la nuova rassegnazione all’impotenza nel modificare la vita.
È nel prestigio criminale -a tutti i livelli- che avanza e che ruba rubando spazi vitali. Che rende i soggetti “socialmente estranei”, quindi inoffensivi e ininfluenti. Che gestisce l’emergente miseria dei nuovi poveri come una nuova creatura da custodire, da alimentare con il nuovo potere: una mammella da cui succiare per una realtà da mantenere, ampliare, replicare all’infinito possibile.
Tutto si è amplificato: l’evento superato dalla rappresentazione negativa dell’evento stesso.
Il fenomeno dei rifiuti prende un’altra forma: l’emergenza miseria si organizza.
Vengono invase piazze dove –apparentemente improvvisati- si organizzano mercati domenicali e infrasettimanali: extracomunitari espongono oggetti prelevati direttamente dai cassonetti, per un nuovo florido mercato che, al termine, inonda il selciato, le aiuole di rifiuti dei rifiuti.
La esortazione “aiutaci a tenere Napoli pulita” è oscenamente dissacrata con il prelievo di quel che serve lasciando, poi, in strada, il resto del rifiuto alla portata di un altro riciclatore.
L’altro giorno ho visto una anziana, ricurva sul contenitore di una farmacia, svuotarlo direttamente sul marciapiede e, alle rimostranze di un passante, tuonare maledizioni come un autentico personaggio dei Miserabili; gli zingari, poi, sono abilissimi nel saltare direttamente nel cassonetto, usato come bancomat del rifiuto istantaneo.
É nella logica del profitto, dell’economia e del mercato a tutti i costi, che si trasformano le persone con le loro potenzialità: da soggetti ad oggetti geneticamente modificati. Imprigionati nella ingiustizia sociale e nell’assenza di democrazia partecipativa. Imprigionamento che genera il senso di perdita e la rinuncia all’autostima e che può portare a gesti estremi. Rendendo finanche incapaci di ri-pensare l’approdo ad un nuovo possibile;
Un autentico disastro dove non vi è nulla da negoziare. Dove non c’è una partita da giocare attraverso una cultura di liberazione dagli orizzonti di un sistema economico; più che mai proteso a proteggere se stesso.
Se la politica è uno scambio -o almeno risposte possibili allo scambio di energie- credo che la politica delle istituzioni vada modificata, vada impastata di partecipazione autentica, vada vivificata degli entusiasmi, vada lievitata dal fare creativo.
Metafisica? Sì! Come tutto quello che si respira da queste parti tra teatri e rovine, tra attese e delusioni, tra speranze e rassegnazioni, tra la morte e la sua costante rappresentazione.
Il “mondo Napoli” –che ,poi, è il mondo di ogni città- deve parlare e confrontarsi; ascoltare e programmare, deve essere presente nelle piazze, deve immaginare il mutamento dei rapporti sociali, deve agitarsi in una rivoluzione culturale. Responsabilmente coniugando lavoro, qualificazione, progetti, economia, artigianato creativo.
Facendo, dei rifiuti, l’oro di Napoli con una capillare e gestita raccolta per il mezzo di figure professionali che garantiscano vigilanza sul territorio ed un riciclo creativo “made in naples”.
Contando, per tanto, sulle competenze delle eccellenze nazionali nel campo delle arti, della moda e delle scienze.
E non si può fare rivoluzione e stare nel palazzo: fuori c’è il sole.
Avv. Carmela Panariello Franchini
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