Il mondo della politica è spesso dai cittadini comuni percepito come distante e incomprensibile. Come colmare il gap che divide politici ed elettori?
Se lo sono chiesto numerosi spin doctor e uffici di comunicazione: avvicinare il politico alla gente, dare al candidato un volto umano, simpatico, conviviale è l’obiettivo di molte campagne elettorali, obiettivo ancor più pressante considerata la personalizzazione della politica che domina gli attuali mass media.
Così paradossalmente, mentre da un lato si allontana la possibilità dei cittadini di incidere davvero con il voto nella politica e nelle scelte (listini bloccati e preferenze negate sono il simbolo più evidente di una politica autoreferenziale), d’altra parte è sfida aperta tra i vari leader – ma anche tra i parlamentari di secondo piano – per accaparrarsi simpatie e consensi dando di sé un’immagine aperta e colloquiale.
Nel terzo millennio non è più la piazza reale, la fabbrica o la scuola il luogo del confronto – troppo rischioso e diretto- ; oggi le piazze sono altre e meglio filtrate: quella televisiva, dei talkshow politici ma anche delle trasmissioni più futili (il palco del Bagaglino, la cucina di Kalispera), e quella telematica.
Lo schermo protegge, tutela, è in qualche modo più controllabile e garantisce un maggiore ritorno. Se in tv il candidato si espone al giudizio degli elettori raccontando barzellette, ballando e partecipando al reality show (emblematica la vittoria di Vladimir Luxuria a L’Isola dei Famosi), attraverso i nuovi media il politico va persino oltre: si fa taggare, ti invita, ti chiede e ti dà l’amicizia.
I politici fanno un largo uso di Facebook: essere su Facebook, Twitterare è obbligatorio se si vuole “sembrare” in, moderni, giovani. Tra colleghi di partito si fa a gara per chi ha più “amici”, chi il blog più seguito, chi il gruppo con più iscritti, chi lo status aggiornato prima e più commentato a suon di “mi piace”.
Ma quanto “ci piace”? Quanto questa condizione è davvero un bene? Il 2.0 può servire davvero a riavvicinare il bandolo di una politica sempre più distante? Oltralpe qualcuno ha iniziato ad averne abbastanza di quest’esposizione fasulla e ha ben pensato di prendersi gioco di questa nuova forma di propaganda elettorale creando Failbook, una parodia del social-network dove gli utenti sono membri del governo.
E in Italia? Sulla rete spopolano tormentoni, girano sfottò, emergono notizie (talvolta confermate, talvolta no), passaparola. La politica è seguita e denudata; capita così che talvolta nemmeno grandi società di comunicazione riescano ad arginare la volontà dissacrante dell’utenza di internet. Capita così che digitando su Google, tra i principali motori di ricerca, il cognome del premier il risultato nei “suggerimenti di ricerca” non sia certo tra i più edificanti per la sua immagine, ma non va tanto bene neanche per i suoi avversari.
L’impressione è che in rete gli strafalcioni si diffondono con maggiore velocità dei programmi, in particolar modo su mezzi “soft” come i social network.
Cari politici, anziché sprecare soldi e risorse nell’inutile tentativo, di ricostruire e ripulire l’immagine su Internet, utilizzate tempo e risorse per riprendere davvero serio e programmatico con i cittadini: apritevi al confronto con la società civile, c’è bisogno di vero dialogo su quelli che sono temi di interesse pubblico (lavoro, scuola, salute, ambiente, ricerca, cultura ed economia) e non di preconfezionati videomessaggi.
Solo in questo modo può esserci Civicrazia.
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