Mar 10, 2018 | Notizie | 0 commenti

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SALVARE IL PATRIMONIO CULTURALE E’ CIVILTA’!

Il patrimonio culturale di un paese, di una città, rappresenta le stigmate di una matrice originaria che identifica una comunità. L’indifferenza, e peggio ancora la trasandatezza, arrecano, dunque, danni non soltanto al monumento in quanto tale, ma all’intera comunità cui quel bene appartiene. E’ il caso della chiesa intitolata a Santa Maria di Costantinopoli che si trova nella via omonima, nel cuore del centro storico di Napoli, la quale versa in condizioni deplorevoli per una consistente infiltrazione d’acqua che sta mettendo a rischio le opere artistiche che in essa sono conservate. E parliamo di artisti come Cosimo Fanzago, Belisario Corenzio, il pittore fiammingo Aert Mytens, che lavorò a Napoli negli anni 1580-90, NIcola Tagliacozzi Canale, Domenico Antonio Vaccaro. La leggenda narra che la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli fu eretta a seguito dell’apparizione della Vergine di Costantinopoli ad un’anziana donna, la quale annunciò la fine della peste che stava  devastando la città di Napoli e chiese che fosse eretto un tempio lì dove avrebbe trovato la sua immagine dipinta su un muro. La chiesa fu costruita con un annesso monastero femminile e da allora diventò uno dei luoghi di culto più importanti della città e ancora rappresenta per molti cittadini un luogo di forte impatto spirituale. Il parroco, don Paolo, si è attivato presso i referenti del Comune, i quali hanno fatto vari sopralluoghi ma finora senza alcun esito. La perdita d’acqua verrebbe dalla Sala Gemito di proprietà del Comune, attigua alla chiesa. Anche dalla Curia, pure coinvolta, nessun segnale.  Riportiamo il commento civicratico di Pamela Palomba dell’Associazione locus iste Luoghi e Memoria, che si occupa di visite guidate e che ha dichiarato: “La Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli è proprietà storica della città di Napoli. Con la nostra associazione locus iste cerchiamo di portare in luce una traccia di questa importante storia con visite guidate ai luoghi della peste del 1656”.

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