Potrebbe sembrare pretenzioso parlare di chiarimento definitivo, ma si tratta pur sempre di semplici precisazioni che diano modo di attivare una serie di riflessioni che possano condurre oltre. Oltre quella stagnante palude che si è formata attorno a un’Italia e un’Europa, impantanate in un sistema politico nato male e gestito ancora peggio.
L’idea di un’Europa unita, nata dall’ondata emotiva che ha sconquassato gli animi usciti vivi dalla prima e seconda guerra mondiale, è una bellissima idea e va custodita. Purtroppo però, è stata abbandonata (e su questo un giorno si dovrà ragionare liberamente e considerare l’evenienza di verificare le responsabilità politiche e conseguentemente penali di un disastro conclamato) in mano alla finanza sovranazionale, alle lobby e alle multinazionali del commercio, lasciando dietro di sé una scia di catastrofi sociali, a cui i padri fondatori, forse, non avrebbero mai pensato. Il progetto di ingegneria sociale è divenuto eversivo perché sovvertitore di un ordine sociale e politico radicato in splendide storie millenarie di popoli. Unità necessaria, dopo la creazione delle nazioni e la deformazione dei colonialismi e delle conseguenti guerre, ma una unità che fosse fondata sul rispetto delle diversità delle genti: rispetto della propria storia, delle proprie tradizioni, dei propri ordinamenti sociali peculiari ed imprescindibili perché derivanti da stratificazioni antropologiche differenti ed inalienabili, pena una massificazione depauperante delle singole essenze profonde.
Ed è proprio ciò che è avvenuto. La spinta urgente a riunificare, per paura di poter rivivere la tragedia delle guerre, ha fatto perdere di vista queste diversità; lo svilupparsi di una finanza e di una economia sempre più svincolate dal bene sociale, è stato il trampolino di lancio per una svolta epocale (necessaria per alcuni, rovinosa per i più) a cui oggi stiamo a malapena sopravvivendo.
Popoli con una propria storia, una propria sovranità, non solamente territoriale e monetaria, ma soprattutto sociale. Identità che sono state attaccate da un’ideologia uniformante, da un’ideologia economica che vede l’essere umano solo nell’ottica di un consumatore e di un produttore.
La sovranità di un popolo si aggancia a tutto ciò. Esiste. E non si può negare in nome di una globalizzazione commerciale. Esistono Costituzioni democratiche che non si possono scavalcare. E non è consentito ad alcun politico, a nessuna amministrazione, a nessuna multinazionale, l’opportunità di azzerarle. È questo che difendono la maggior parte dei sovranisti.
Le nostre Costituzioni hanno storie profonde e dolorose, che hanno scavato negli animi e nei corpi. Sono definitive, perché così sono state emanate e nessuno si può permettere di violarle impunemente. Non si tratta di retorica, ma di popoli in carne ed ossa. Oggi forse degradati a mere pedine di uno scacchiere di cui non hanno mai chiesto di voler far parte, ma pur sempre singole individualità, con la propria identità ed il proprio onore. Non ce lo dimentichiamo mai: tra democrazia sostanziale legata alla Costituzione e democrazia liberale legata a un ordine sovranazionale dei mercati o comunque dei trattati europei, esiste un’incompatibilità radicale.
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