Feb 28, 2018 | Notizie | 0 commenti

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PERSONE IMPIEGATE IN CULTURA: TANTA BUROCRAZIA E POCA ITALIA

Il 2018 sarà l’Anno europeo del Patrimonio culturale. È stato presentato come l’occasione unica per rafforzare un’identità europea, che stenta a decollare, attraverso la promozione del ruolo dei beni culturali quali strumento di coesione sociale.

Per tale circostanza, la settimana scorsa, Eurostat ha rilasciato un’analisi dettagliata sull’impiego nel settore culturale europeo, da cui emerge che nel complesso, oltre 3 milioni di imprese impiega 12 milioni di persone, ovvero il 7,5% della forza lavoro Ue, genera 509 miliardi di euro, che corrisponde al 5,3% del Pil della Ue, e il 13% delle esportazioni. Numeri che farebbero supporre la presenza dell’Italia tra le prime posizioni, ma è veramente così?

Secondo le analisi dell’Eurostat, l’Italia è appena al 19esimo posto, su 28 tenuti in considerazione, nella classifica che calcola il numero di persone impiegate in settori che sono legati alla cultura. Solo il 3,4% della popolazione italiana è impiegata in lavori che dovrebbero essere basilari per un Paese che può contare su migliaia di siti di interesse eccezionale. Il rapporto dell’Ufficio Statistico dell’Unione Europea considera “lavori culturali” anche quelle mansioni dove l’impiegato non svolge nello specifico un lavoro culturale. Giornalisti, artisti, musicisti, interpreti, custodi dei musei, archeologi, bibliotecari, sono solo alcune delle professioni tenute in considerazione. Dati nettamente in controtendenza rispetto alla tendenza europea: sono 8,4 milioni gli impiegati in attività culturali. In testa ci sono l’Estonia e il Lussemburgo che raggiungono una quota di occupati nel settore cultura del 5,3%.

Nonostante questi pessimi numeri, la classifica ufficiale stilata dall’Unesco ha certificato ancora una volta che sono 53 i siti italiani patrimonio dell’umanità. 53 luoghi speciali, pieni di meraviglia, bellezza, fascino identificati come luoghi di eccezionale importanza culturale o naturale. Ciò dovrebbe ricordare ai nostri amministratori pubblici che l’Italia con la sua arte, la sua cultura e le sue bellezze, ha ancora tanto da offrire e non solo ai turisti, ma soprattutto agli italiani. Paradossalmente, invece, l’impiego nel settore rimane fermo al palo. Cosa sta succedendo?

Secondo Ermete Realacci – presidente della Fondazione Symbola -, “la cultura e la creatività consolidano la missione del nostro Paese orientata alla qualità e all’innovazione […]. Se l’Italia produce valore e lavoro puntando sulla cultura e sulla bellezza aiuta il futuro”. “Se”, appunto…

L’Italia infatti ha deciso di puntare tutto sulla burocratizzazione introducendo una nuova qualifica giuridica, quella delle imprese culturali e creative: si favorirà ancora una volta una bulimia di qualifiche e regimi giuridici e ci si spingerà verso una comune conformità e rigidità, necessarie a catturare il finanziamento pubblico, rinunciando per questi a estesi spazi di libertà progettuale, creativa ed espressiva. Ancora non ci siamo: l’arte si apprezza, non si paga!

 

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