Ott 17, 2018 | Notizie | 0 commenti

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L’ITALIA, L’INCERTEZZA NORMATIVA E IL LIBERO CONVINCIMENTO

Cominciamo dalla fine.

Sono molti ormai i cittadini che ravvisano nella giustizia amministrata un “qualcosa” che non sta andando per il verso giusto. Le decisioni dei giudici sembrano essere prese non tanto applicando una norma di legge, ma quanto seguendo un puro istinto emotivo e, se si pensasse male, si potrebbe addirittura intravedere in certe decisioni una velata volontà di schierarsi a favore di una parte in causa e soprattutto la volontà di non infastidire il pensiero corrente delle élite, che detengono un qualche potere di gestione delle masse sociali.

In molti stanno registrando questo fenomeno sociologico ed in molti, forse con una certa malignità, hanno anche parlato di asservimento della giustizia ai poteri forti e ad un certo pensiero dominante. In qualche maniera sembrerebbe che la giustizia umana si stia trasformando in una “divina giustizia” a cui non ci si può che sottomettere, soccombendo a decisioni (molte volte) palesemente ingiuste.

Sta di fatto che la vita sociale italiana stia vivendo il momento di più bassa fiducia nella giustizia amministrata: i giudici sono veramente soggetti soltanto alla legge?

Per rispondere alla domanda, bisognerebbe rivolgersi verso ipotetiche cause che avrebbero scatenato tali circostanze. E, a ben vedere, esse potrebbero ridursi a solo due possibilità: o si sta assistendo ad un veloce e folle degrado dell’ambiente giudiziario, o la colpa è da ricercare in una scarsa qualità nella produzione legislativa. Purtroppo, le due eventualità non si negano a vicenda ed è quindi logico propendere per una degradante coalizione di concause, che hanno fatto sì che oggi la giustizia italiana sia avvertita come “nemica” del cittadino.

A monte della prima causa si potrebbe cercare una giustificazione nella disposizione che preveda in capo al giudice la facoltà di basare le proprie decisioni sul principio del libero convincimento, lasciando così una piuttosto larga discrezionalità di giudizio. E questa discrezionalità oggi ha preso talmente piede, che è emersa una sorta di deresponsabilizzazione da parte dell’ente giudicante: “Se mi sono sbagliato, il tribunale di grado superiore correggerà!”.

A questa prima stortura giudiziale però ce da aggiungerne subito un’altra, ancora più grave e che si può riassumere nel fenomeno descritto come incertezza normativa: l’ipertrofica produzione legislativa ha contribuito grandemente a far sì che il giudice e tutta la macchina giudiziaria, si trovassero nella strana posizione di avere a disposizione leggi che “governino su tutto, affermando tutto ed il contrario di tutto!”.

L’eccesso dell’industria legislativa è molto più articolato di quanto si possa pensare, in quanto il processo produttivo non si basa più solo sulla formazione di una legislazione che corregga o regolarizzi una situazione problematica, ma si incentra sempre di più nella tendenza ad introdurre “leggi manifesto”, più di carattere politico che giuridico.

Le conseguenze di tale insana amministrazione statale sono sotto gli occhi di tutti: l’incertezza del diritto, che rende alquanto difficoltosa per gli operatori della giustizia, per le imprese e per i cittadini in generale, l’individuazione delle norme da applicare ai diversi casi; l’arbitrarietà interpretativa e la creazione di un ambiente patologico più favorevole alla diffusione di fenomeni di corruzione amministrativa; l’allungamento delle tempistiche processuali; la sfiducia nelle istituzioni governative produttrici di tale ipertrofica patologia; ed infine, attraverso una proliferazione di norme sempre più particolareggiate, la deresponsabilizzazione delle amministrazioni pubbliche e in particolar modo della dirigenza.

I Parlamenti che si susseguono tentano ogni volta di risolvere il problema, naturalmente scrivendo una nuova legge e nonostante sia dal tempo di Tacito (II sec. d.C.) che l’esperienza insegna che lo Stato corrotto si attornia di leggi. Si troverà mai qualche coraggioso parlamentare che vorrà intelligentemente porvi rimedio?

Che lo Stato realizzi gli obiettivi che si è posto e non le leggi che dovrebbero regolamentarli.

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