Feb 10, 2018 | Notizie | 0 commenti

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LA QUESTIONE GENERAZIONALE

L‘episodio dello studente diciassettenne dell’istituto tecnico-commerciale di Santa Maria  a Vico, in provincia di Caserta, che ha ferito al viso con un coltello la sua professoressa di italiano ha riaperto il dibattito sulla questione generazionale, sui contesti e sulle fisionomie giovanili, sul ruolo della scuola e della famiglia, sulla violenza che si genera dove c’è assenza di cultura, in quanto “manifestazione cruda della chiusura verso l’altro”, come ha sottolineato lo psicanalista Massimo Recalcati, citando Pasolini, il quale vedeva come vaccino al degrado e alla droga “l’eros della cultura” da “somministrare nelle scuole”. Le parole si sprecano. “Affermazioni di tutti i tipi , in libertà – scrive Paolo Battimiello, già Dirigente scolastico,  in una lettera pubblicata su Repubblica il 6 febbraio scorso – sui ragazzi di questa generazione, buonismo a quintali da una parte e richieste di punizioni severe a tonnellate dall’altra. Ci risiamo con la ricerca delle responsabilità, se sono degli adulti e di quali adulti, se sono più colpevoli gli uni piuttosto che gli altri, o se è colpa solo del ragazzo o di una generazione ormai perduta, con tanti esperti che parlando in “politichese” trasformano come sempre l’episodio in una problematica che conoscono bene, di cui hanno la soluzione che come sempre non funziona per colpa di un altro. Ci si rifiuta di prendere atto che “tutti noi siamo dentro al problema”, non siamo spettatori lontani”.  I dati che emergono nel rapporto “Occupazioni e sviluppi sociali in Europa” della Commissione Europea non sono confortanti.  Tra tutti i 28 paesi europei l’Italia detiene il record di NEET, acronimo con cui si indicano i giovani tra i 15 e i 24 anni che non lavorano e che non si trovano nel sistema scolastico (not in education, employment or training). Ci sono più NEET in Italia che in greica., Spagna e Bulgaria, pari quasi al doppio della media europea, dove i NEET sono l’11,5 per cento del totale dei giovani. Ha ragione Recalcati quando afferma che “serve la presenza forte e visibile dello Stato”, che “cultura e presenza dello Stato devono camminare insieme”. E dice bene Battimiello, quando sostiene che più che parlare di ragazzi “difficili” – “definizione che è il puerile e colpevole tentativo dei grandi di di scaricare le proprie responsabilità sui ragazzi” – è più giusto affermare che  esistono “ragazzi dalla vita difficile”, ragazzi a cui i grandi hanno confezionato e consegnato, volontariamente o involontariamente, in famiglia e a scuola, “condizioni di vita difficile”, spesso al limite della soglia minima di vita sociale, trasformando i ragazzi nelle vittime delle proprie debolezze, delle proprie frustrazioni, del proprio infantilismo, delle proprie improvvisazioni a base di una cultura pseudo pedagogica e di una psicologia fai da te”.

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