Nov 17, 2018 | Notizie | 0 commenti

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GLI SGOMBERI CHE FANNO BENE E GLI SGOMBERI CHE FANNO MALE

Come al solito, in Italia ogni notizia diventa lo sfogo per un campanilismo becero che trova poi nell’agone politico la vera camera di decompressione delle proprie rabbie represse. Gli italiani, ma in fondo come tutta quella parte di umanità che trova nello “schierarsi” la fonte dell’unica ragione di esistenza, immediatamente si dividono, tifando per l’una o l’altra parte mancando solitamente il vero punto importante della questione.

Tutti i giornali ieri hanno riportato la notizia dello sgombero, da parte delle forze dell’ordine, della tendopoli abusiva allestita da più di un anno dietro la Stazione Tiburtina a Roma. I migranti che vi avevano trovato un miserevole rifugio sono stati trasferiti al centro identificativo per poi essere di nuovo ridistribuiti nei vari centri di accoglienza sparsi per l’Italia, anche se la maggior parte di loro andrà ramingo per le vie di Roma, se non avranno la “fortuna” di essere assorbiti tra le fila numerose della mafia nigeriana.

I giornali ovviamente si sono schierati a favore del governo o contro di esso e così hanno più o meno fatto tutti i loro lettori. La notizia è stata accolta come un’ulteriore provocazione verso le politiche delle amministrazioni precedenti, che hanno ovviamente risposto alla decisione di sgombero con forti reazioni di contrasto arrivando addirittura ad evocare la legge del taglione. Il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, affida a Facebook il suo pensiero: “Salvini sgombera i migranti del Baobab (senza offrire alcune soluzione di accoglienza temporanea e quindi senza nessuna risoluzione del problema). Ci aspettiamo la stessa fermezza nel liberare l’immobile occupato abusivamente a Roma da anni da Casapound”. Dall’altra parte della “barricata” la musica non è molto diversa e se Matteo Salvini parla su Twitter di promesse rispettate, Giorgia Meloni auspica che ora anche altri stabili occupati da immigrati, “divenuti centri di degrado, spaccio e criminalità”, vengano al più presto sgomberati.

Propaganda politica che però non fa altro che dividere e confondere i cittadini.

I politici dovrebbero invece lavorare per unire la comunità sociale verso l’unico scopo di una convivenza incentrata sulla prosperità, sulla felicità e sulla sicurezza.

Purtroppo, mentre per la politica queste appaiono come vane parole utili solamente per il proprio tornaconto, il cittadino responsabile ne fa lo scopo della propria vita sociale e ormai non trova più nelle diatribe politiche quella vena di idealità per cui volontariamente mettere in gioco le proprie forze.

E dunque, tra le grida felici di cittadini che finalmente possono tornare a vivere in luoghi più puliti e sicuri e le grida sgomente di volontari e poveri immigrati alla ricerca di un tetto sotto cui ripararsi (e forse di un senso da dare alle proprie vite), la voce sottile e nascosta degli oltre 5 milioni di italiani poveri e senza più una casa stenta a farsi ascoltare.

Sì, perché il problema di un riparo sicuro, di una casa dove abitare, non è solo appannaggio di quelle poche migliaia di immigrati fuggiti dai centri di accoglienza e che ora sono allo sbando in un’Italia incapace di gestire senza urla propagandistiche le emergenze umanitarie. Il problema sono i milioni di italiani sfrattati, le famiglie che non riescono a pagare gli affitti o i mutui e che le banche hanno improvvisamente resi poveri e derelitti.

Ci troviamo di fronte a bisogni che in Italia non avremmo mai voluto vivere. Eppure, è la nuda e cruda realtà ed i cittadini italiani si ritrovano confusi, avviliti, soli. E la colpa però non è tutta e solamente della politica, ma della società in generale incapace di sussidiarietà e di complementarietà, di una società che non comprende più i fabbisogni comunitari, che si è rinchiusa nel proprio castello individuale lasciando fuori tutto ciò che disturba la propria fallace tranquillità.

L’Italia è piena zeppa di ruderi, di case abbandonate, di terreni incolti, che potrebbero essere restaurati, ridistribuiti ed edificati senza ulteriori cementificazioni cittadine e senza altri aggravi fiscali e debitori, ma si preferisce lasciare tutto al “sano” egoismo della distruzione pur di non far fluire di nuovo l’ideale della collaborazione e della donazione.

Tuttavia, con l’avvento della Macroregione Mediterranea forse si riuscirà ad invertire questo cammino dissolutorio ed i problemi della povertà e dell’immigrazione potranno trovare le giuste risposte se i cittadini sapranno mettersi in gioco e cominceranno a lavorare insieme per il bene comune.

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