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Gen 21, 2021 | Notizie | 0 commenti

Tempo di lettura: 8 minuti

DISOCCUPAZIONE – LA POLITICA OLTRE L’ASSISTENZIALISMO

Mentre sul versante etico reddito e lavoro vanno da sempre di pari passo, non a caso per Papa Francesco è «Un fattore importante per la dignità della persona è il lavoro. La cultura del lavoro, in confronto a quella dell’assistenzialismo, implica educazione al lavoro fin da giovani, accompagnamento al lavoro, dignità per ogni attività lavorativa, ed eliminazione del lavoro nero».
La Costituzione Italiana si apre con un gruppo di articoli in cui sono enunciati i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico della Repubblica. Tali principi rappresentano la base, il fondamento su cui poggiano tutte le altre norme dell’ordinamento e in cui vengono descritti i valori sui quali si deve fondare lo Stato, creando una società basata sulla democrazia, sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese, sul riconoscimento e sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, sul principio di uguaglianza e sul diritto al lavoro come mezzo per affermare la propria personalità.
 
Nel sociale, la dignità di una persona, sta nella sua capacità di non dipendere da nessuno. Le politiche sul lavoro sono efficaci se trovano soluzioni alla disoccupazione, se creano opportunità di lavoro, se riducono gli ostacoli a chi crea occupazione, se favoriscono nuove condizioni per lo sviluppo e il reinserimento lavorativo dei soggetti più deboli. La dignità sta nell’avere la possibilità di lavorare in un ambiente salubre, con uno salario adeguato, con garanzie di sicurezza e welfare, in un’azienda che consideri il lavoratore una risorsa che possa valorizzare le proprie competenze.
Per dare dignità al lavoro va combattuto l’abuso di contratti senza alcuna tutela, i lavori sottopagati, senza alcun diritto e nel tessuto malato dell’economia sommersa.
Negli ultimi tempi, dai governanti di turno, si è sentito parlare tanto degli Stati Generali dell’Economia a Villa Pamphilj, forse pensati più per ammaliare tutte le forze di governo, le associazioni di categoria, le parti sociali e anche “singole menti brillanti”, sulla base di quanto già costruito dal comitato tecnico-scientifico, che iniziare a lavorare con l’obiettivo di sviluppare un piano di rinascita per l’Italia.
 
D’altronde, per il Belpaese l’emergenza coronavirus, drammatica per chi non ha un reddito fisso, l’inizio di un percorso di ricostruzione sociale resta scarsamente inclusivo ed evanescente.
Come più volte evidenziato da Civicrazia, di ricette su come affrontare il dramma occupazionale, da tante parti si prospettano ad iosa, ma di terapie ancora niente. O meglio, nel governo le ricette in campo sono diverse, tante quanti sono i partiti di maggioranza, con l’aggiunta di nuove varianti dell’ultima ora, ma nel concreto sembrano finalizzate solo al mantenimento dello statu quo dei propri privilegi.
I numeri che arrivano, dall’Istat all’Inps, sono tutt’altro che rassicuranti. Il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione hanno arginato per il momento l’emorragia dei posti di lavoro, ma intanto a risentirne sono i lavoratori con contratti a termine, i somministrati e gli stagionali. Con 400mila posti in meno tra marzo e aprile, secondo l’Istat. Oltre 160mila solo a marzo 2020 secondo i dati Inps. E se la disoccupazione crolla, si impenna l’inattività, soprattutto tra i giovani.
Non ci si accorge che siamo all’alba di un’epoca nuova, quella del lavoro basata sugli sviluppi dell’intelligenza artificiale e dell’applicazione del digitale nel lavoro. Lo dimostrano alcuni dati: il 65% dei bambini delle scuole elementari farà un lavoro che oggi non esiste ancora. Per 4 lavoratori italiani ci sono quasi 3 pensionati. A lavorare sono quasi 23 milioni di persone (il 57,3% della popolazione), ma altri 3 milioni (11,9%) il lavoro lo stanno cercando. Gli italiani che sono emigrati all’estero sono quasi 250.000, una cifra simile a quelle del dopo-guerra. E ancora: un lavoratore su 10 è straniero e, di questi, quasi il 20% è laureato. Infine, nonostante il tasso di disoccupazione giovanile sia pari al 40%, le imprese, obbligate a lok down continui, non riescono assumere il 25% delle figure professionali di cui hanno bisogno per mancanza di formazione (tecnica) adeguata.
 
Per noi Civicratici è dunque urgente chiedere alle istituzioni: nel tempo delle macchine e dei robot, quale significato assumerà il lavoro per la vita degli uomini? Quali sono i principali cambiamenti in corso, a causa dei quali tante persone sono lasciate senza lavoro? Quali devono essere i (nuovi) diritti e doveri del lavoratore? E ancora: come sconfiggere la disoccupazione e quale formazione garantire ai lavoratori per prepararli al lavoro del futuro? Di ciò che abbiamo ereditato, cosa possiamo trasmettere? Eppure i giovani occupati ci insegnano che gli albori di un tempo nuovo sono già sorti. Per loro il lavoro è flessibilità e innovazione. Lo dimostra un dato: dall’inizio del terzo millennio ad oggi il 46% di coloro che avevano un contratto a tempo indeterminato ha cambiato lavoro. Crescono i lavori legati all’innovazione e sono ben retribuiti. Crescono anche quelli al servizio alle persone, ma sono mal retribuiti. Insomma, tra un mondo del lavoro che sta tramontando e quello che sta nascendo occorre affinare una bussola di discernimento.
 
Se il lavoro non riesce a crearlo lo Stato, l’unica speranza restano le imprese. Alla politica spetta almeno il compito di rimuovere gli ostacoli alla sua creazione come, ad esempio, l’eccessiva burocrazia, i tempi lunghi della giustizia civile, l’enorme tassazione, il costo elevato dell’energia rispetto alla media europea, l’accesso alla banda larga, i problemi dell’accesso al credito o a forme alternative di finanziamento, come quella del capitale di rischio. Il Paese ha bisogno di politiche che generino valore sociale senza favorire l’assistenzialismo. L’obiettivo da raggiungere non è il «reddito per tutti» ma – lo ha ribadito anche il Papa – il «lavoro per tutti». Sono circa 259.000 i posti di lavoro per profili professionali che le aziende non riescono a reperire. Mancano saldatori, cuochi, infermieri, esperti di marketing, falegnami, ingegneri, commercialisti, fabbri e, soprattutto, professionisti del tech, i lavori del digitale. Per la scuola potrebbe essere, questa, un’opportunità senza precedenti per scommettere su nuovi curricoli di studio basati su programmi umanistici, conoscenza delle lingue e nuove competenze per l’innovazione, come il pensiero computazionale e l’intelligenza artificiale.
Anche l’Unione Europea in materia di istruzione e formazione professionale ha dato il suo contributo con il comunicato di Bruges e le conclusioni di Riga. Il 1º luglio 2020 la Commissione ha presentato un’agenda ambiziosa per guidare gli sforzi di ripresa dopo la pandemia di COVID-19 nei settori dell’occupazione e della politica sociale. L’accento è posto sulle competenze e sull’ Istruzione e Formazione Professionale (IFP). Sfida raccolta soprattutto dalla nascente Strategia della Macroregione Mediterranea che vuole essere in prima linea nella formazione dei giovani. Occorre formare manager del fare e professionisti del gestire: uno chef non è solo un cuoco ai fornelli, ma un lavoratore capace di gestire, acquistare, promuovere e comunicare la propria attività. Inoltre, la tradizione buona dei Municipi aiuta a puntare su fattori competitivi non delocalizzabili, come l’arte, la storia, la cultura locale, la bellezza del territorio.
 
La sfida del lavoro di domani, con le macchine intelligenti e il lavoro a basso costo è al centro dell’agenda 2021 di Civicrazia. Insieme, come Cittadini protagonisti, siamo pronti a sostenere questa esperienza per il bene di tutti.
 
Ernesto Marino
 

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