L’ennesima tragedia familiare quella consumata a Cisterna di Latina, dove un carabiniere uccide la moglie e le due figlie, rispettivamente di 7 e 13 anni, e poi si toglie la vita. Ripercorrendo i fatti di cronaca, sembra si tratti ancora una volta di una morte annunciata, di appelli senza ascolto, del silenzio di una burocrazia più attenta agli iter amministrativi che alle vicende umane, nonostante da anni ci si riempia la bocca con conquiste legislative volte a ridurre la distanza tra Pubblica amministrazione e cittadino. Antonietta Gargiulo, la donna colpita, che è in gravi condizioni all’ospedale, si era rivolta ripetutamente alle forze dell’ordine, agli assistenti sociali, agli amici e ai familiari, addirittura al parroco, per segnalare i comportamenti di un uomo diventato violento ed ossessivo, dal quale una notte fugge con le bambine, rifugiandosi a casa di un’amica per la paura di azioni sconsiderate e pericolosamente aggressive da parte del marito. Ma la donna non lo denuncia. Il marito è nell’arma e potrebbe perdere il lavoro. Decide, comunque, di dare fine a quel rapporto che non ha più niente di una relazione d’amore, deteriorata da sospetti, dubbi, da una ancora persistente sottocuiltura del possesso. Ed è questa sottocultura che arma la mano del carabiniere, ritenuto peraltro idoneo al lavoro a seguito di una visita psicologica cui il 30 gennaio scorso si era sottoposto. Neanche la giovinezza di due figlie che avevano diritto a crescere, a realizzare una propria storia umana, è servita a fermarlo. Storie come questa spingono a riconsiderare le relazioni umane, di genere, che sono, e devono essere, incontri di persone libere, alla pari, dove non c’è un dominatore e un dominato. Chi decide di costruire una famiglia deve farlo con la consapevolezza che essa è uno spazio in cui si educa e ci si educa alla libertà e alla responsabilità. Il possesso, le gerarchie, la ruolizzazione predefinita sono anomalie che uccidono.
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