Lug 22, 2018 | Notizie | 0 commenti

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PILLOLE DI SALUTE…(NEGATA?)

Il 15 marzo 2010 a Camere riunite, il Parlamento Italiano all’unanimità votò l’ approvazione della legge 38, norma che introduce il diritto dei cittadini ad essere curati tempestivamente per la malattia dolore, ed ad esser assistiti nelle fasi terminali del ciclo di vita, in strutture altamente specializzate nell’erogazione delle cosiddette “cure pallitive”, e cioè gli hospice.

Si tratta di una legge fortemente innovativa, che inserisce nei LEA concetti di salute fino ad allora poco riconosciuti dal SSN.

In particolar modo essa diventa lo strumento attraverso cui assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze.

Le strutture sanitarie deputate ad erogare cure palliative e terapia del dolore devono assicurare un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei princìpi fondamentali della tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione; della tutela e promozione della qualità della vita in ogni fase della malattia, in particolare in quella terminale, e di un adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia.

La legge fu assolutamente d’avanguardia, tanto da essere “ammirata”, ancora oggi,  da mezzo mondo.

Trovandoci di fronte ad una svolta epocale di riorganizzazione del sistema di presa in carico e cura, dal 2010 tutte le regioni hanno usufruito di risorse economiche extra fondo di riparto sanitario, per l’attuazione della norma.

In particolar modo dovevano essere realizzati rapidamente diversi obiettivi:

l’identificazione di PDTA (percorsi diagnostici-terapeutici assistenziali), riconosciuti dalle società scientifiche, e quindi attuati in maniera omogenea in tutte le regioni;

una formazione ad hoc per tutte le professionalità mediche socio-sanitarie coinvolte nella presa in carico;

la realizzazione di reti ospedaliere in forma spoke-hub ( cioè da centri di prima accoglienza meno specializzati fino a strutture ultra-specializzate in gradi di effettuare interventi terapeutici ad elevata complessità)

integrazione sotto forma di rete tra gli specialisti ospedalieri ed i medici competenti sul territorio a prendere in carico i pazienti afferenti ai servi di ADI ( assistenza domiciliare integrata)

l’apertura degli hospice.

Questi ultimi hanno delle caratteristiche peculiari rendendoli una via di mezzo tra un luogo di cura h24 e la propria casa calda ed accogliente, ove la persona malata può ricevere l’accudimento dei suoi familiari senza limiti di tempo, né orari di ingresso ed uscita.

Per bislacchi algoritmi tutti italiani il legislatore decise di introdurre una differenza sostanziale sul trattamento del dolore, in base alla causa scatenante.

Cosi’ noi cittadini ci ritroviamo oggi di fronte alla malattia dolore, ad essere divisi tra quelli che hanno un dolore maligno, perché generato dal cancro, e quelli che invece lo hanno benigno, perché legato ad un trauma occasionale e/o ad altra patologia oncologica.

Ma chi ha sperimentato sulla sua pelle l’esperienza dolore, sa bene che tra un BTCP che dura massimo 60 minuti ( dolore intenso ma episodico caratteristico dei pazienti oncologici) ed un dolore lancinante che insiste per 8-10 ore a causa di un calcolo renale, non può esserci distinzione semantica che tenga!!!

Purtroppo questa differenza costringe il medico a fare scelte tra farmaci in base a criteri autorizzativi posti da AIFA, che pregiudicano la rapidità d’azione e l’efficacia nell’ eliminare alla persona la atroce sensazione di dolore.

In molti casi nuoce di più all’individuo il mancato contenimento del dolore, più che il mancato contenimento della massa tumorale, perché come recita la legge 38/2010, rileggendola diciamo “al contrario”, la malattia dolore toglie all’individuo libertà e dignità.

Nonostante gli anni trascorsi dall’entrata in vigore, ed i soldi spesi, troviamo ancora larghissime aree geografiche di non attuazione della norma.

Poche regioni sono riuscite a creare le reti, coniugando il bisogno di formare gli operatori, integrare le diverse risorse e sensibilità e divulgare nella popolazione il senso vero del “trasferirsi” dalla propria casa all’ hospice, nella fase del fine vita.

Ancora oggi in molte realtà l’accudimento in Hospice è vissuto come una deportazione, contrario al pensiero dominante, ed abitudinario, che la “buona morte “ si consumi tra le mura domestiche.

Il principio etico su cui si fonda la legge 38 è esattamente l’opposto:

la Buona Morte, conseguente ad una Buona Vita, è quella in cui il dolore non è percepito, così che la nostra mente e la nostra anima abbiano il tempo, la serenità, in un setting idoneo di supporto psicologico, per riconciliarsi con il mondo fuori di se, senza nessuno compromesso al ribasso in termini di Libertà e Dignità.

Come dicevamo prima però al di là di così nobili intenti, la macchina del SSN arranca, dietro pastoie burocratiche, resistenze culturali al cambiamento, paure intrinseche degli operatori sanitari a doversi confrontare e gestire emozioni così forti, scarsa affermazione reale dei principi di laicità nella cultura diffusa.

Secondo una recente indagine di Cittadinanzattiva del 2016, relativamente alla qualità dell’assistenza domiciliare,  4 pazienti su 5 non sanno come gestire il “dolore” a casa.

Riporto poi un breve confronto tra due regioni molto vicine tra loro e molto simili, per meglio comprendere come la famosa “linea Gustav” rappresenti ancora una forte demarcazione non solo simbolica tra Nord e Sud.

Secondo l’ultimo Rapporto al Parlamento sull’attuazione della legge 38, del 2015, con dati relativi al 2014, le differenze “comportamentali” tra Campania e Lazio, sono le seguenti:

Campania: 7 hospice per 73 posti letto

Lazio: 20 hospice per 280 posti letto

Interventi di assistenza domiciliare per Cure Palliative 

Lazio 1544

Campania 1111

Popolazione residente al 2017

Campania: 5.839.084

Lazio:  5.898.124

Ciò ci fa comprendere quanto il nostro SSN, benché per altri versi tra i migliori del mondo, non riesca ad adeguarsi ad un forte cambiamento di esigenze e bisogni dei cittadini, che negli ultimi 30 anni hanno fatto grandi conquiste in termini di allungamento della vita media, ma che altresì stanno generando una popolazione globale a forte invecchiamento e con tassi di natalità spesso negativi.

Questo “arrancamento” è legato ad una concezione di cura troppo incentrata sulla gestione dell’emergenza, tra l’altro intensificando l’accentramento su poche strutture “hub”  di tutta l’ultra-specializzazione.

Siamo passati, oramai ovunque nello stivale, dall’idea di una comunità aperta e solidale non dipendente da gradi di parentela, a quella ove, anche nella stessa famiglia si genera isolamento e distacco tra i membri per differenze di età.

Forse stiamo perdendo quell’idea romantica e positiva di tribù che ci rendeva molto in sintonia col proverbio africano:

“Per crescere un bambino occorre una tribù”.

In questo scenario, “il pensiero dominante” dovrebbe portare al cittadino il servizio di “presa in carico e cura” e non obbligarlo al percorso inverso.

E dovremmo imparare a desiderare e costruire più “case-hospice”, dove si accudisce, prende in carico ed accompagna, senza dolore, ogni nostro fratello, senza interesse per la sua età, colore della pelle, religione…

Perché da noi, in Italia, la legge, per quanto bella e nobile, non ammette ignoranza.

Il cittadino libero ed emancipato, così come sancito dall’art 118 della Costituzione, attraverso gli istituti giuridici di rappresentanza, DEVE quotidianamente rivendicare i propri diritti.

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