Continua la strage sul posto di lavoro: ennesimo incidente mortale avvenuto sulla statale 379 tra Bari e Brindisi dove hanno perduto la vita due persone.
Uno era un ingegnere di 55 anni, l’altro geometra e capocantiere di 50. Domenico Paolo Catucci e Angelo Rotondella erano due tecnici apprezzati ed esperti, la cui perdita nell’incidente sul lavoro (all’interno del cantiere stradale) ha sconvolto famiglie, colleghi e comunità di appartenenza.
L’incidente ha ricordato in modo drammatico la vicenda del giovanissimo Gabriel Aurelian Petrescu, ragazzo di 22 anni di origine rumene morto mentre era a lavoro sulla provinciale 231 all’altezza di Terlizzi, investito da un auto.
CANTIERE NON SEGNALATO
Circa la morte dei due tecnici il drammatico impatto è avvenuto in un punto che non è cantierizzato.
La domanda principale alla quale dare una risposta, dunque, sarà capire la motivazione della loro sosta in un punto così pericoloso.
CONTROLLARE LA SICUREZZA SUL LAVORO
L’ennesimo incidente mortale sul lavoro verificatosi oltre a suscitare sentimenti sentiti di cordoglio e vicinanza alle famiglie, deve interrogare con forza sulle misure di sicurezza necessarie a tutelare la salute e la vita di ogni lavoratore.
Soprattutto gli interventi su strade e autostrade con restringimenti comunque aperte al traffico sono troppo spesso scenari di incidenti. Quella della sicurezza sul lavoro è una delle priorità in un Paese che conta oltre mille morti l’anno.
SPORTELLO ATTIVO SUL SITO DI CIVICRAZIA
E’ disponibile lo Sportello telematico di Civicrazia https://www.civicrazia.org/sportello-telematico/ dove i lavoratori e chiunque possono denunciare il non rispetto da parte dei datori di lavoro dei loro obblighi e i mancati interventi di autorità pubbliche.
Combattiamo per la vita!
Fabio Riccio
UNA DONNA UCCISA OGNI TRE GIORNI, KLODIANA VEFA E’ L’ULTIMA VITTIMA. PERCHE’ NON SI RIESCE A FAR DIMINUIRE IL NUMERO DEI FEMMINICIDI?
Klodiana Vefa, 37 anni, è stata uccisa dall’ex marito che poi si è tolto la vita a Castelfiorentino, in provincia di Firenze. L’uomo, Alfred Vefa, è stato oggi trovato a in una zona isolata del comune di san Casciano in Val di Pesa. Per i militari si è tolto la vita sparandosi con l’arma usata per uccidere anche la moglie.
Alle 4 di oggi sabato 30 settembre in una zona isolata, un cittadino ha segnalato un’auto sospetta, parcheggiata e abbandonata. I carabinieri intervenuti hanno constatato che era l’auto di Alfred Vefa.
Aveva ammazzato l’ex moglie, mamma di due suoi figli di 14 e 17 anni. Klodiana stava rientrando a casa dal lavoro quando un proiettile l’ha centrata e uccisa.
I sospetti degli inquirenti si erano concentrati subito sull’ex marito, Alfred Vefa, muratore di 44 anni.
I due erano in fase di separazione. Da qualche tempo l’uomo andava e veniva dalla casa coniugale, dove non abitava più stabilmente. Vicini e conoscenti della coppia hanno raccontato che i due litigavano spesso. Dopo il delitto il 44enne, si era reso subito irreperibile, trovato morto questa mattina. Egli si sarebbe tolto la vita sparandosi con una pistola, probabilmente la stessa arma usata per uccidere anche la moglie.
Più di una donna viene uccisa ogni tre giorni.
Questo ennesimo femminicidio è avvenuto poche ore prima del via libera definitivo dell’Aula della Camera al disegno di legge per l’avocazione delle indagini per i delitti di violenza domestica o di genere. Questa norma, che porta le indagini a un organo superiore, si inserisce nell’ambito del Codice rosso. Solo questa legge non è per nulla sufficiente.
Serve una tutela speciale per le donne che denunciano.
Dobbiamo mettere al sicuro chi trova la forza di denunciare. Sarebbe un significativo passo in avanti.
STATISTICHE NON NUMERI PREOCCUPANTI
Solo il 27% delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza denunciano. La differenza deve essere culturale. Nell’esempio dell’ultimo femminicidio avvenuto, il mantra «denuncia, denuncia, denuncia» non è sufficiente. Bisogna concentrarsi sul contesto per far in modo che sia più facile per la vittima denunciare. Dobbiamo essere pronti a sostenere la donna se è pronta a denunciare. Questo perché sono tanti i timori e i pensieri che frenano chi subisce violenza: la paura di denunciare il padre di tuo figlio, la paura di rovinarlo, quella dello stigma sociale, quella di non essere creduta, la paura di finire in un circuito che non dipende più da te.
Inoltre bisogna adottare misure concrete di tutela. La situazione è drammatica.
Sempre più di 100 donne ogni anno.
Civicrazia ricorda il servizio pubblico del 1522, un numero gratuito e attivo 24h su 24 che accoglie, con operatrici specializzate, le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking.
Inoltre all’interno del sito di Civicrazia è presente lo Sportello Telematico del Cittadino, pronto ad assistere 7 giorni su 7 le vittime di reato attraverso degli operatori specializzati e sempre pronti all’ascolto attivo e al sostegno psicologico.
Eleonora Aleo
Dopo un intenso impegno di Civicrazia e tantissimi solleciti, ecco finalmente il pagamento della borsa studio nazionale anno 2021/2022.
Peccato però che hanno previsto vincoli assurdi.
COME ERA E COSA ACCADE INVECE ORA?
Prima si dava la possibilità ai beneficiari di ritirare i soldi e spenderli come meglio credevano.
Ora hanno stabilito che venga data una carta postepay, con i soldi dentro, da spendere solo in circuiti convenzionati per studenti.
Peccato che a chi studente non lo è più non serve comprare materiale scolastico oppure chi ha già comprato i libri ad inizio settembre non può utilizzare questa carta.
E che dire della scarsa varietà nel circuito di negozi convenzionati , ad esempio in taluna zona ve ne sono solo 3 e tutti uguali.
Da tempo ben 15 associazioni del territorio ASL RM 5, insieme alle due associazioni nazionali Codici ed Earth, si sono consorziate aderendo al Coordinamento Cittadini Lazio, a salvaguardia della salute e dell’ambiente del territorio suddetto.
Il Coordinamento Cittadini Lazio ha in corso una battaglia molto significativa, per opporsi ad un’ordinanza del sindaco di Roma e città metropolitana tesa a far aprire un TMB (mai entrato in uso in precedenza…) nell’area del parco regionale a Guidonia Montecelio. Questa struttura dovrebbe servire a smaltire i rifiuti indifferenziati della città di Roma in maniera massiva.
Il tutto avverrebbe, ovviamente, in danno di una cittadinanza locale che applica invece la raccolta differenziata in modo egregio.
Inoltre esiste un comprovato danno sanitario per la popolazione del posto certificato da un incremento di patologie tumorali di circa il 34% all’interno di un raggio di 5 km dall’attuale discarica.
AVANTI CON QUESTA BATTAGLIA CIVICRATICA
Dopo 12 anni di lotte, a tutti i livelli istituzionali, per far bonificare la suddetta discarica, finalmente il MASE, Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, ha chiesto, pochi giorni fa, di acquisire ulteriori informazioni sulla situazione ambientale della zona suddetta per valutare la sussistenza di un danno ambientale o minaccia imminente di danno ambientale ai sensi del vigente d.lgs 152/2006. Ovviamente la battaglia è ancora in atto e quello che vogliamo è il blocco della messa in esercizio dell’impianto stesso, che non è compreso nel piano rifiuti deliberato dalla regione Lazio né tantomeno nel PTPR, oltre ogni altro aspetto.
Portiamo avanti questa lotta civicratica, così importante per il nostro ambiente e per la nostra salute.
Ad maiora!
Stefano Fabroni, medico
PROTAGONISTI DELLA VITA DEMOCRATICA
Civicrazia è protesa verso un’azione continua per una comunità di cittadini consapevoli dei propri diritti e doveri, protagonisti della vita democratica. Civicrazia opera per il bene comune in un mutuo patto di sostegno e collaborazione reciproca. Un più ampio progetto nato nel 2006 e sviluppatosi nei decenni successivi assieme agli orientamenti dell’Unione Europea sulla solidarietà e l’impegno civicratico.
VALORI FONDAMENTALI
Non solo volontariato, beneficenza ma qualcosa di molto più profondo, anche dal punto di vista giuridico. Un progetto che si fonda sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in cui esplicita quelli che sono i valori fondamentali di democrazia, dello stato di diritto e condivisi dai popoli dell’Europa: “Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà”
IMPEGNO CIVICRATICO
Libertà, uguaglianza e solidarietà sono concetti tra loro connessi e legati a quello di impegno civicratico, e che si esplica operativamente assicurando a tutti il soddisfacimento dei bisogni essenziali di cittadini. Le Antenne Civicratiche li attualizzano con un insieme di azioni collettive di battaglie e forme organizzative finalizzate alla tutela ed implementazione dei diritti. In questo contesto l’espressione “solidarietà e impegno civicratico” assume un valore proprio e superiore di quelli di beneficenza, assistenza e volontariato.
ANTENNE CIVICRATICHE
In tale ottica, sono da tempo in proficua azione le Antenne Civicratiche. Presenza per “Rendere il Cittadino Protagonista”, in difesa della legalità e del rispetto dei principi costituzionali, che riflettono l’impegno di Civicrazia verso la promozione dell’educazione al rispetto delle diversità e della solidarietà, affinché “il potere pubblico sia davvero al servizio del Cittadino”.
AZIONI QUOTIDIANE
L’azione si esplica e si realizza con il compimento delle attività quotidiane di promozione della coesione sociale. Si attiva a fianco dei cittadini per rimuovere quegli ostacoli di ordine amministrativo, economico e sociale che ne impediscono il pieno sviluppo della persona, consentendo il passaggio da un’uguaglianza meramente formale ad un’uguaglianza sostanziale.
SCUOLA, ASSOCIAZIONI E FAMIGLIE
Tutti insieme per lo sviluppo di una completa consapevolezza civica, finalizzata all’azione solidale e all’educazione alla cittadinanza, in stretta collaborazione con le formazioni sociali operanti a tutti i livelli: scuola, associazioni e famiglia.
Antenne Civicratiche, quindi, quale Punte avanzate dei Cittadini più consapevoli e promotori di Giustizia.
Ernesto Marino
CANNUCCE BIODEGRADABILI E LA LORO COMPOSIZIONE
In Europa molti negozi di fast food hanno adottato le cannucce biodegradabili in carta o in bambù. Sono state adottate per ridurre l’inquinamento delle cannucce di plastica ma senza rinunciare alla funzionalità.
Le nuove cannucce sono composte da una bioplastica ottenuta mischiando lignina e amido di patate o alcol polivinilico, con aggiunta di acido citrico. Da queste sostanze viene generato un liquame che viene disteso in uno strato molto sottile e poi arrotolato, per dargli la tradizionale forma di cannuccia: a questo punto la bioplastica automaticamente si incolla ai lembi in maniera naturale, e la chiusura viene poi saldata tramite un trattamento termico.
Attenzione!
NUOVE SCOPERTE RIGUARDO LE CANNUCCE BIODEGRADABILI
Attenzione! Le cannucce biodegradabili sono state analizzate da ricercatori belgi. Essi hanno riscontrato tracce di sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS), che potrebbero renderle pericolose non solo per l’ambiente, ma anche per la salute umana. Sono state analizzate 39 cannucce presenti sul mercato, della più varia composizione – plastica (4 campioni), acciaio inox (5), bambù (5), vetro (5) e carta (20 campioni).
Il risultato è stato che il 69% delle cannucce esaminate, cioè quasi tutte tranne quelle di acciaio, conteneva uno o più tra 18 tipi di PFAS. In quelle biodegradabili hanno scoperto che il 90% di quelle testate contenevano PFAS, l’80% di quelle di bambù, il 75% in plastica contenevano uno o più PFAS, e lo stesso si è visto con il 40% di quelle in vetro. Solo le cannucce in acciaio inossidabile non sono state trattate con PFAS.
Il composto più presente è risultato essere uno dei più pericolosi, e cioè l’acido perfluoroottanoico (Pfoa), vietato a livello globale già dal 2020. Sono stati poi trovati anche l’acido trifluoroacetico (Tfa) e quello trifluorometansulfonico (Tmas), dotati di un’elevata solubilità, e quindi particolarmente pericolosi se presenti nelle cannucce perché possono facilmente migrare nel liquido.
CANNUCCE E APPORTO CON L’AMBIENTE
L’assurdo è che cannucce realizzate per la salvaguardia degli ambienti, contenendo PFAS, inquinano l’ambiente. La scelta migliore è quella delle cannucce in acciaio inossidabile, che sono perfettamente riutilizzabili e quindi realmente sostenibili, oltre che sicure per la salute.
Altri 6 morti in incidenti sul lavoro in tutta Italia in meno di 24 ore.
Dopo l’esplosione avvenuta ieri in una fabbrica in provincia di Chieti, nella quale hanno perso la vita tre operai, oggi sono da segnalare altre cinque vittime in 5 diversi episodi:
a Bologna un operaio è morto all’aeroporto, schiacciato da un mezzo sulla pista;
nel napoletano, un operaio è caduto dal tetto di un capannone;
sempre a Napoli un operatore della società comunale responsabile della raccolta dei rifiuti ha perso la vita travolto da un camion;
nel porto di Salerno due operatori marittimi sono stati investiti da un camion: uno dei due è morto sul colpo, mentre l’altro è stato trasportato d’urgenza all’ospedale Ruggi d’Aragona di Salerno;
in Veneto un dipendente della cantina Ca’ di Rajo a San Polo di Piave (Treviso) è deceduto dopo essere caduto all’interno di una cisterna.
ALTRI GRAVISSIMI INCIDENTI
Ancora, sempre nelle ultime ore, altri gravissimi incidenti sul lavoro sono avvenuti a Oleggio Castello, in provincia di Novara, dove un operaio è caduto da un un edificio mentre stava lavorando, riportando ferite molto serie e a Modena dove un operaio tunisino in un’azienda di ceramica, nel polo industriale di Finale Emilia, è stato colpito da una trave alla testa.
E’ un autentico bollettino di guerra.
UNA STRAGE DA FERMARE
Da sempre Civicrazia sta chiedendo di fermare questa lunga scia di sangue, questa strage silenziosa.
E’ indegno per un Paese civile vivere questa tragedia di tre morti al giorno nei luoghi di lavoro. Da inizio anno abbiamo quasi superato i 700 morti sui luoghi di lavoro, e siamo a quota 400mila infortunI.
Nonostante i numerosi decreti emanati dove sono elencati tutti gli obblighi da parte dei datori di lavoro e dei lavoratori, la situazione allo stato attuale non è in via di miglioramento.
Davanti a queste stragi ribadiamo ancora, – come già detto in passato (https://www.civicrazia.org/basta-con-le-morti-bianche/), – che occorre l’immediata istituzione della Squadra specializzata di sorveglianza ossia un’unità che sorveglia attivamente sulla effettiva formazione del lavoratore, prima di essere adibito alla mansione da svolgere, che verifichi che le attrezzature e le macchine siano a norma, che siano approntate tutte le tutele.
Subito!
Fabio Riccio
NUOVO MODELLO DI PRODUZIONE E CONSUMO DI ENERGIA:
COMUNITÀ ENERGETICHE
Le Comunità energetiche si stanno sempre più affermando come elemento chiave per raggiungere gli obiettivi di transizione energetica dell’Unione Europea.
Secondo la Commissione europea, infatti, entro il 2050, la metà dei cittadini europei potrebbe arrivare a produrre metà dell’energia rinnovabile dell’Ue.
Occorre un nuovo modello di produzione e consumo di energia da fonti rinnovabili, condizione necessaria per la transizione ecologica.
Il “focus” prioritario è nell’utilizzo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza(Pnrr) in tal senso.
Occorre che si affranchi il territorio da un modello energetico prevalente non più sostenibile in termini ambientali e di costi economici.
Ci sono le condizioni ottimali per raggiungere tale obiettivo ma la strada da percorrere deve essere nella direzione unica della condivisione e della partecipazione.
COMUNITÀ ENERGETICHE, COME CONDIVISIONE E PARTECIPAZIONE
I progetti per la produzione di energia da fonti rinnovabili devono essere realizzati attraverso le Comunità energetiche.
Occorrono associazioni composte da aziende, cittadini privati, enti pubblici che scelgono autonomamente di dotarsi di infrastrutture per la produzione di energia da fonti rinnovabili ai fini dell’autoconsumo, per la riduzione della povertà energetica e sociale, per la realizzazione di forme di efficientamento e per la riduzione dei prelievi energetici dalla rete.
PRODUZIONE DI IDROGENO VERDE
La realizzazione di parchi fotovoltaici ed eolici atti ad alimentare gli elettrolizzatori devono essere ubicati in prossimità dei siti di consumo per produrre l’idrogeno verde.
Tali linee di produzione possono essere realizzate nelle aree industriali dismesse.
L’AGRICOLTURA E LE COMUNITÀ ENERGETICHE
La nuova Politica Agricola Comune (PAC) prevede premialità sino al 25% dei pagamenti diretti agli agricoltori che metteranno in campo pratiche innovative e di risparmio energetico anche attraverso la costituzione di ‘’Comunità’’. E’ necessario un piano finalizzato, con la partecipazione del mondo agricolo, a favorire l’innovazione tecnologica, il trasferimento di know-how dai centri di ricerca alle aziende, l’ammodernamento di macchinari ed impianti.
NEWS
Dalle ultime notizie inerenti i prodotti petroliferi, si procede verso un ulteriore aumento del costo, dettato dall’instabilità dei rapporti internazionali.
Il prossimo aumento determinerà un ulteriore aumento del costo anche della correlata energia, inducendo un aumento dell’impoverimento energetico diffuso.
Le Comunità energetiche possono essere un’opportunità per invertire proficuamente tale tendenza, riducendo la povertà energetica e rendendo più democratica e sociale tale risorsa, che ogni giorno tende ad escludere dalla fruibilità la parte più debole della società.
Comunità energetiche, quindi, per esserci tutti nel futuro e per esserci meglio!
Michele Cuceli, Ingegnere
INIZIO DELLA SCUOLA: CYBERBULLISMO, MONITO PER INSEGNANTI E FAMIGLIE
Settembre inizia la scuola. Per la maggior parte delle Regioni il 13 settembre inizia la scuola.
Ed ecco di nuovo che in tema di Cyberbullismo si ripropone il problema di come prevenirlo e come gestirlo.
Preliminarmente è doveroso sottolineare – e non ci stancheremo di dirlo – che il web non va demonizzato. Tuttavia, se non usato correttamente, può diventare luogo di pericoli.
WEB LUOGO DI CRESCITA SE USATO CORRETTAMENTE
Infatti, da luogo di informazione e crescita, quale può e deve essere, il web può diventare luogo di disinformazione e aggressività a danno di soggetti più deboli.
I giovani spesso non riescono a comprendere i reali pericoli e gli adulti, che dovrebbero essere i loro punti di riferimento, i primi formatori e responsabili, sono spesso impreparati di fronte a uno strumento che non conoscono.
I genitori devono partecipare alla vita social dei figli. Non devono ignorare le loro attività online e i luoghi virtuali che frequentano. Purtroppo, trattandosi di un “luogo virtuale”, si ha la percezione che non sia importante o non sia necessario controllarlo.
FARE PREVENZIONE PER RISOLVERE IL PROBLEMA
Il rimedio per eccellenza è la prevenzione in ogni modo possibile.
Tutti devono essere consapevoli che un utilizzo improprio della rete è illegale e che esercitare violenza in rete su una persona è un reato. Come reato va trattato e punito.
E’ necessario un’opera congiunta tra famiglia e scuola.
I gruppi sociali di riferimento che rivestono per antonomasia i ruoli e le funzioni di educazione e controllo sono la famiglia e la scuola.
È, in buona sostanza, assolutamente necessario che famiglia e scuola formino i giovani in merito all’ “Educazione Civica Digitale”.
Le nuove generazioni vanno, quindi, istruite e accompagnate a un uso consapevole del web.
È necessario un percorso formativo e didattico che possa dare ai giovani informazioni per un uso responsabile dei nuovi strumenti tecnologici.
L’EDUCAZIONE CIVICA DIGITALE E’ LA RISPOSTA
Oggi, “l’essere cittadino” passa anche e soprattutto per la rete e i social. Pertanto, la costruzione di un mondo virtuale corretto, oggi è una priorità, perché questo mondo virtuale è sempre più sovrapponibile e complementare al mondo reale.
Dunque, tramite l’Educazione Civica Digitale, è possibile formare i giovani, dare loro le competenze tecniche e la consapevolezza necessaria per vivere la rete secondo il suo pieno positivo potenziale.
GLI OBIETTIVI DI UN USO SANO DEL WEB
In primis, occorre contrastare e mirare a eliminare la violenza in rete combattendo “l’odio digitale” in tutte le sue mille sfaccettature, dal sexting, dal revenge porn ai furti di identità alla violazione della privacy.
I giovani devono essere in grado di distinguere i comportamenti legittimi e legali nello spazio virtuale da quelli che, invece, non lo sono.
STRATEGIA DA ATTUARE PER UN ADEGUATA FORMAZIONE
Per far sì che l’Educazione Civica Digitale riesca a formare in modo adeguato le nuove generazioni è necessaria una sinergia tra istituzioni, scuola e famiglie.
Rimane fondamentale il ruolo che, nell’ambito del processo formativo dei giovani, occupano i genitori e gli insegnanti. Si tratta di un ruolo di primo piano, un ruolo fondamentale, perché devono adempiere a compiti non solo educativi, ma anche di supervisione.
In relazione al problema del rapporto dei minori con il web, il primo gruppo sociale che deve avere funzione di controllo è certamente la famiglia.
Non se ne può fare a meno. Educare i propri figli a fare del web un uso responsabile è di vitale importanza perché non conoscere le nuove tecnologie, in buona sostanza, oggi equivale a non conoscere i propri figli.
I genitori, quindi, devono essere in grado di conoscere il web, per almeno due ottimi motivi: il primo è potersi rapportare con i propri figli parlando il loro stesso linguaggio, il secondo è di poterli informare riguardo ai pericoli che possono correre.
Purtroppo vi è una sempre maggiore mancanza di comunicazione tra genitori e figli in relazione al tempo e al modo che costoro impiegano al computer e sul telefono.
Compito inderogabile oggi dei genitori deve essere quello di affiancare i figli nella scoperta della rete per far comprendere loro quali sono i rischi e i pericoli che si celano dietro l’uso distorto del web e dei social.
I genitori hanno un’idea (più o meno vaga che sia) dei rischi che corrono i propri figli, ma non hanno la formazione necessaria per spiegare loro le nuove tecnologie e i loro pericoli.
Per creare una generazione di utenti consapevoli e rendere il web un ambiente virtuale civile e sano è, quindi, necessario che i giovani imparino a conoscere i rudimenti base della rete in seno alla famiglia, prima ancora che nella scuola.
FORMAZIONE CONTINUA ED OBBLIGATORIA PER DOCENTI E GENITORI
Per far questo, è assolutamente necessario formare e informare i genitori.
Se la famiglia è il primo “gruppo di controllo” in merito a un uso consapevole e corretto delle nuove tecnologie, è altrettanto importante che lo stesso compito venga assolto anche dalla scuola.
Per quanta riguarda la formazione degli insegnanti, la primissima necessità è quella di un’adeguata formazione tecnica: non si può insegnare qualcosa che non si conosce.
Una volta capito perfettamente di cosa si sta parlando, l’educatore deve insegnare modalità e tempi di utilizzo dei vari dispositivi come smartphone, tablet, ecc.
RUOLO SINERGICO TRA GENITORI E SCUOLA
I genitori devono avvicinarsi alle scuole per imparare a conoscerle, per comprenderne il ruolo e le regole, per saggiare la competenza degli insegnanti.
I genitori tornino ad educare i figli e ad assumersi la propria piena responsabilità. Non possono delegare la scuola a svolgere compiti che la stessa non ha e non può avere.
La scuola è luogo di apprendimento e non luogo di soluzione di problemi non risolti in famiglia. La scuola non educa ma coeduca.
Genitori e insegnanti devono, quindi, collaborare per individuare strategie educative comuni in relazione a una corretta Educazione Civica Digitale.
Devono lavorare in sinergia, individuare strategie educative e percorsi formativi comuni, da portare avanti assieme. Nessuno deve abdicare al proprio ruolo ma svolgerlo civicraticamente. Solo così genitori, docenti, giovani potremo conquistare assieme un avvenire migliore.
Rosaria Salamone, Avvocato.
Video Intervista Civicratica Silvano Antori
Civicrazia chiede di approvare subito la legge strutturale per i lavoratori fragili
Avanti tutta per le importanti realizzazioni e per il riconoscimento legislativo della Sensibilità Chimica Multipla, così come indica la presentata Petizione
PRIMO INCONTRO DEL COMITATO NELLA REGIONE MARCHE
Nelle Marche il Comitato Tecnico scientifico regionale, istituito dalla Giunta regionale il 27 marzo 2023, sulla fibromialgia e la sensibilità chimica multipla, il 17 luglio ha tenuto il suo primo incontro.
Il Comitato svolge funzioni consultive e di coordinamento, ha il compito di predisporre le linee guida per il percorso diagnostico-terapeutico multidisciplinare, esprime un parere sul piano triennale di formazione ed aggiornamento professionale del personale sanitario ed elabora le proposte da presentare alla Giunta regionale per la individuazione e la promozione della prevenzione delle complicanze delle patologie in particolare nei luoghi di lavoro. Inoltre coordina i previsti registri regionali e redige una relazione annuale sul monitoraggio delle patologie.
COMPOSIZIONE DEL COMITATO
Il Comitato è presieduto dal Direttore di Dipartimento competente in materia di sanità della Giunta regionale o suo delegato che lo presiede ed è composto da uno specialista per ciascuna specialità medica interessate nel percorso diagnostico terapeutico-multidisciplinare.
Vi partecipa,
– un unico membro rappresentativo di ciascuna specialità medica;
– almeno 1 rappresentante delle società scientifiche e associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, operanti sul territorio, che si occupano della ricerca sulle patologie previste (uno per la fibromialgia, uno per la MCS) dalle medesime designato;
n. 5 rappresentanti di enti del terzo settore iscritti al relativo Registro, impegnati nel sostegno alle persone affette dalle patologie previste, designati dai medesimi.
Certamente la costituzione del Comitato regionale è un passo avanti nell’affrontare le problematiche dei malati di MCS ma occorre la partecipazione di esperti formati in materia.
INCONTRO DELL COORDINAMENTO MCS CON IL CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITA’
Un passo avanti è anche stato fatto dal Coordinamento MCS, che comprende varie associazioni nazionali, che il 18 aprile 2023 con una sua delegazione e due esperte sono stati ricevuti in audizione da un Gruppo di lavoro della Sezione I del Consiglio Superiore di Sanità (CSS) .
Le Associazioni hanno presentato un documento contenente una breve descrizione della MCS e le problematiche che essa provoca ai malati, elencando una serie di richieste dal riconoscimento alla formazione medica, ai protocolli di accoglienza ospedaliera e ambulatoriale, alle tutele lavorative, alla ricerca scientifica, al divieto di uso di prodotti profumati in ambienti pubblici e ospedalieri.
Ovviamente ora attendiamo azioni concrete.
CENTRI ITALIANI
Recentemente la Regione Calabria ha istituito un nuovo centro che tratta anche patologie odontoiatriche dei malati di MCS e che si affianca a quello di Padova e di Bologna.
Protocolli ospedalieri di accoglienza del malato sono stati attuati presso l’ospedale di Lecce e l’ospedale di Ferrara.
I Centri attivi oggi in Italia devono dare risposte concrete alle esigenze dei malati sia dal punto di vista clinico che lavorativo e previdenziale.
Le associazioni devono ora soprattutto lavorare unite per la nuova normativa nazionale, così come richiesto dalla Petizione di Civicrazia al Parlamento che va avanti nella difesa dei diritti dei malati e per la definitiva e integrale soluzione.
Annunziata Patrizia Difonte – medico
ANCORA MORTI SUL LAVORO
A Germignaga (Varese), un uomo di 70 anni è morto sul lavoro dopo essere stato travolto e schiacciato dal trattore che stava guidando. A Lamezia Terme (Catanzaro), un operaio di 24 anni che lavorava per un’impresa che svolge servizi stradali per conto dell’Anas, è morto dopo essere stato investito da un’automobile. L’incidente si è verificato lungo la strada che dalla statale 280 conduce all’aeroporto, all’altezza di un restringimento di carreggiata istituito per consentire lavori di rifacimento dell’asfalto.
DA NORD A SUD STRAGE SENZA FINE
Anche al sud la strage continua: due in Campania e uno in Molise.
Nell’area industriale di Marcianise, nel Casertano, il 51enne Giuseppe Borrelli è morto dopo essere rimasto schiacciato da un carrello elettrico in un’azienda che produce componenti in metallo per le auto.
Nella notte invece nelle campagne di Duronia, piccolo centro della provincia di Campobasso, un 35enne è deceduto travolto dal trattore che guidava.
In mattinata il terzo incidente mortale, nel cuore del Cilento (Salerno), a Ceraso, dove un settantenne è morto dopo essere stato travolto da una rotoballa di fieno in un capannone agricolo.
Sulla morte a Marcianise del 51enne Giuseppe Borrelli è in corso un’indagine per omicidio colposo. Dai primi accertamenti, è emerso che l’operaio era nel locale verniciatura dell’azienda quando è stato colpito alla schiena da un carrello elettrico finendo schiacciato contro la parete di una vasca.
BASTA ESPRESSIONE “MORTI BIANCHE”
Smettiamola di usare, parlando delle stragi del mondo del lavoro, l’espressione “morti bianche”. Perché l’espressione morte bianca evoca l’immagine di un esodo incruento, di una morte senza spargimento di sangue, in qualche misura una morte “senza autore”. E invece queste sono morti spaventosamente sanguinose, con corpi dilaniati, bruciati, schiacciati.
E con responsabilità spesso taciute, inconfessate e inconfessabili, quasi mai seguite da sanzioni adeguate (nessuna tragedia, né quella della Thyssen, né quella dell’Eternit, né quelle, seriali, dell’Ilva di Taranto hanno visto i rispettivi processi concludersi con condanne men che simboliche).
Dobbiamo definirle “crimini di pace”. Morti che, per il loro numero e per alcuni aspetti della catena di cause che le hanno provocate, sono simili a quelle dei conflitti bellici.
Per i numeri: Carlo Soricelli, che dopo la pensione da metalmeccanico si è dedicato alla cura di un sito web – l’ “Osservatorio nazionale di Bologna” il quale, unico in Italia, monitora tutti i morti sul lavoro dal 1° gennaio 2008 registrando i morti per giorno, mese e anno della tragedia, per identità, età, professione, nazionalità – calcola che da allora le vittime sfiorino le 20.000.
Fabio Riccio
LE INDICAZIONI DELLA UE PER UNA ASSISTENZA ALLE VITTIME DI REATO
ll Consiglio d’Europa, con la Decisione Quadro del 15 marzo 2001 relativa alla “posizione della vittima nel procedimento penale”, auspicava che tra gli Stati membri si arrivasse a una omogeneità delle disposizioni legislative e regolamentari, in modo tale da offrire uguale sostegno, protezione e tutela alle vittime della criminalità, indipendentemente dallo Stato di residenza.
Sin dal 2000 il Parlamento Europeo aveva istituito, nell’ambito del Programma Generale “Diritti fondamentali e Giustizia”, un Programma di azione comunitaria (DAPHNE) per prevenire e combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne e per proteggere le vittime e gruppi a rischio.
L’Italia non ha risposto in maniera esauriente alle disposizioni sancite a livello europeo nella Decisione Quadro del 2001 e non ha colmato le gravi lacune che da anni la distanziano da molte realtà europee dove, al contrario, alle vittime di reato viene offerta una molteplicità di servizi a supporto e sostegno, nell’ottica della tutela delle vittime effettive e di lavoro preventivo sulle vittime potenziali.
SITUAZIONE IN ITALIA
Nel nostro Paese, ogni giorno e in ogni Città, è in costante aumento un numero elevato di persone che subiscono un reato o che ne sono testimoni.
Ogni reato produce sempre un danno, non solo fisico ed evidente, ma spesso con profondo risvolto psicologico, un lato quindi più nascosto, difficile da esporre da parte della vittima e da capire da parte di chi accoglie e ascolta.
Le tipologie di reati sono estremamente diversificate e necessitano di risposte su più livelli, che possono andare dall’intervento pratico (ad esempio la riparazione o sostituzione dell’infisso danneggiato nel corso di una rapina) al supporto giuridico fino a quello di tipo medico e psicologico, molto delicato specialmente nel caso di un abuso o violenza sessuale.
Occorre, altresì, un costante monitoraggio del territorio per scongiurare il ripetersi di gravi episodi delittuosi oltre a un’attività di prevenzione in ambito familiare e sociale.
Al fine di meglio articolare sul Territorio nazionale un’efficace tutela della vittime, è stata prevista dalla UE con la Direttiva m.29 del 2012 la realizzazione di una Rete di Sportelli per le vittime di reati.
Tali Sportelli, in collaborazione con le attività di tutte le Istituzioni, possono fornire un’adeguata assistenza e informazione alle vittime, ivi comprese le richieste di elargizioni a carico del Fondo previsto per gli indennizzi.
L’entrata in vigore del Decreto Legislativo 212 del 2015 e la successiva Riforma della Giustizia hanno, invero, segnato certamente un importante passo avanti nel sistema di tutele poste dall’ordinamento processuale in favore della vittima di reato e, nel contempo, ha costituito l’occasione per un generale riordino della materia.
L’innovazione necessita, tuttavia, di essere accompagnata sia da una attenta attività di formazione di tutti gli operatori, a partire da quelli della Polizia Giudiziaria, sulle tematiche introdotte, sia l’avvio di rete capillare di servizi extraprocessuali di carattere assistenziale, che dovrà coinvolgere l’intero territorio nazionale.
CARTA DEI DIRITTI
Va sottolineato, sul punto, che la “Carta dei diritti della vittima”, sin dal 2015, impone, in base all’art. 90-bis, lett p), c.p.p. che la vittima, oltre a quelle processuali, riceva informazioni sulle strutture sanitarie presenti sul territorio, le case famiglia, i centri antiviolenza, le case rifugio e soprattutto su una Rete efficace di Sportelli di ascolto a cui rivolgersi per un’assistenza in grado di sopperire con una Equipe qualificata alle carenze attuali del sistema.
In proposito la Commissione Europea ha auspicato la creazione di una linea telefonica di emergenza o di una rete di linee di emergenza, per unire i diversi servizi di assistenza per le vittime, disponibile in tutte le lingue europee, iniziativa che non ha avuto alcuna attuazione in Italia e che Civicrazia sta sollecitando.
Attualmente appare del tutto carente l’accessibilità agli attuali servizi, vincolati alla denuncia della vittima. Inoltre gli obblighi informativi spesso non vengono assolti con conseguente proliferazione di episodi di vittimizzazione secondaria.
Sussistono, poi, numerosi problemi di ordine pratico: la reperibilità degli operatori, l’organizzazione capillare su tutto il territorio dei servizi, la necessità di creare numeri unici, sempre attivi e raggiungibili ma ,soprattutto, i tempi decisionali troppo lunghi.
Sta di fatto che, contrariamente a quanto disposto dalla Direttiva Europea, non stato avviato uno “sportello delle vittime” neppure presso i Tribunali, il che è molto grave.
In proposito va ricordato che ogni reato richiede una tipologia di supporto e spesso ad un singolo reato corrispondono e sono necessari diversi supporti che vanno ad intersecarsi tra di loro.
Gli interventi di supporto e le figure predisposte a interagire con le vittime, a seconda della loro specificità e tipologia di reato sofferto, possono essere classificati in come segue:
SUPPORTO PSICOLOGICO
La figura preposta a dare supporto è in questo caso lo Psicologo che, attraverso un percorso di ascolto del vissuto traumatico della vittima, accompagna e sostiene la persona fino alla elaborazione dell’evento e al ritrovare una condizione di equilibrio e serenità.
SUPPORTO SANITARIO
Occorre fornire uno specifico supporto di Medici Legali Pediatri, Psichiatri, che forniscano la necessaria assistenza alla vittima di violenze fisiche e di lesioni, a volte anche permanenti, subite dalla vittima del reato.
SUPPORTO LEGALE
Gli Sportelli sono destinati a fornire anche un’Assistenza legale alle Vittime affinché possano ricevere un aiuto per difendersi nei confronti dell’autore del reato anche per richiedere i danni fisici e morali, con l’intento di assicurare alla vittima e ai suoi familari, spesso impossibilitati, una difesa legale efficace dei propri interessi lesi.
SUPPORTO CRIMINOLOGICO
Lo Sportello deve comprendere anche un supporto criminologico con il compito di svolgere una compiuta analisi della situazione territoriale per tutti gli episodi di violenza e quant’altro necessiti per le Istituzioni nazionali e locali e le Forze dell’Ordine per garantire una sicurezza effettiva e scongiurare il ripetersi di tali episodi, anche attraverso un’azione preventiva e campagne di sensibilizzazione in ambito scolastico e pubblico.
Spesso le vittime non si rivolgono direttamente agli operatori della sicurezza come Carabinieri, Polizia, Ospedali, Medici poiché, nonostante la loro professionalità, non sempre possiedono le competenze necessarie per poter accogliere la vittima nel modo corretto senza il rischio di vittimizzarla ulteriormente e dare origine ad una “Vittimizzazione secondaria”.
Accade sovente, quindi, che la vittima eviti di rivolgersi a tali operatori per sfiducia nella Giustizia o per tema di conseguenze gravi nel denunciare i fatti lesivi ovvero per vergogna nel denunciare le violenze subite, finendo così talora per isolarsi nella propria abitazione privandosi di ogni assistenza, con gravi conseguenze sullo stato di salute e psicologico.
In questo contesto risulta, quindi, molto importante formare una nuova classe di Operatori che, a seguito di una specifica formazione, possano svolgere il loro lavoro fornendo alle vittime del Reato un supporto che risulta fondamentale lungo tutto il percorso successivo da seguire, se applicato con la giusta sensibilità e metodologia.
Accogliere e ascoltare è una questione di capacità di osservazione, valutazione e coscienza del tutto personale ed è proprio per questa ragione che è necessario che il personale preposto sia costituito da elementi ben formati, che sappiano mettersi a disposizione delle vittime per contenere il più possibile una situazione di disagio.
IL RUOLO DELLA ASSOCIAZIONI PER LE VITTIME DI REATO
Il recepimento della Direttiva nella Riforma ha consentito l’ingresso nel processo dalle Associazioni che si occupano dei diritti delle vittime di reati violenti e degli operatori del diritto preposti all’assistenza delle stesse.
Alcuni anni fa, l’allora Ministro della Giustizia Orlando, posto di fronte al problema di sopperire alla mancata apertura degli Sportelli di Assistenza, affermò: «Siamo uno strano Paese dove tutti citano i diritti delle vittime, a proposito e qualche volta a sproposito, ma poi nessuno fa nulla di concreto. È’ un tema spesso evocato, mai risolto. Eppure il problema di una assistenza extragiudiziale per le vittime, che sia informativa o psicologica, esiste”.
Eppure sussiste la Direttiva europea del 2012 che ha imposto agli Stati membri di attivare un sistema di protezione per le vittime di tutti i reati così da garantire una assistenza integrata che sia emotiva, psicologica, economica, medica, legale, linguistica.
È’ una rivoluzione culturale, quella che l’Europa ha chiesto all’Italia e Civicrazia, con tutte le Associazioni, chiede a du uniformarsi senza perdere altro tempo.
Occorre, dunque, intervenire rapidamente sulla paura del crimine nella nostra società, una paura, troppo spesso, diffusa e alimentata dai mezzi di comunicazione di massa.
In un’epoca storica come la nostra, caratterizzata da profondi cambiamenti comunicativo – relazionali, dove le dinamiche della paura giocano un ruolo assoluta mente determinante e dove lo scollamento tra dati “reali” e dati “comunicati” rischia di divenire incolmabile, l’azione di supporto demandata alle Associazioni può, per davvero, aspirare a divenire un “banco di prova” per la tutela e l’assistenza delle Vittime del Reato e rivolto ad orientare le scelte future del Legislatore sul piano normativo.
Non va dimenticato che le Regioni hanno istituito, quasi tutte, un Garante Regionale per le Vittime mentre manca ancora la legge, sollecitata da Civicrazia, per quello nazionale.
In Civicrazia da tempo tutte le Associazioni si confrontano sulle tematiche comuni per migliorare e unificare i Servizi da rendere alle Vittime.
Per concludere, va detto che i diritti delle Vittime sono stati rafforzati con innesti (quasi sempre) coerenti con quella prospettiva protezionistica avanzata dall’Europa ma occorre andare ben oltre con interventi ancora più specifici e fattuali sia nel procedimento e processo penale che sul territorio.
Mario Pavone, Avvocato, Docente in Master
RICERCA SCIENTIFICA
In una recentissimo articolo scientifico giapponese, pubblicato sulla prestigiosa rivista Jama Pediatrics, i ricercatori hanno indagato se alcune caratteristiche dello sviluppo infantile (comunicazione, problem solving, abilità sociali…..) siano condizionate dal tempo trascorso davanti agli schermi elettronici.
Esaminare l’associazione tra l’esposizione allo schermo tra i bambini di 1 anno di età e 5 caratteristiche nello sviluppo (comunicazione, motricità grossolana, motricità fine, risoluzione dei problemi e abilità personali e sociali) all’età di 2 e 4 anni.
DISEGNO DELLA RICERCA
Sono state incluse donne in gravidanza di 50 cliniche ostetriche e ospedali delle prefetture di Miyagi e Iwate in Giappone dal 2013 al 2017. Le informazioni sono state raccolte in modo prospettico includendo nell’analisi 7090 coppie madre/bambino. L’analisi finale dei dati è stata effettuata nel 2023.
CATEGORIE SECONDO TEMPI DI ESPOSIZIONE ALLO SCHERMO
Sono state identificate quattro categorie di esposizione allo schermo per i bambini di 1 anno di età in rapporto al tempo trascorso: <1 ora, da 1 a <2 ore, da 2 a <4 ore, o 4 ore al giorno.
METODO DI VALUTAZIONE DEI DATI DELLA RICERCA
I ritardi nello sviluppo nelle 5 caratteristiche dello sviluppo per i bambini di età di 2 e 4 anni di età sono stati valutati utilizzando la versione giapponese del questionario Ages & Stages. Per ogni caratteristica era possibile una variazione da da 0 a 60 punti.
TARGET DELLA RICERCA
Dei 7097 bambini di questa ricerca, 3674 erano maschi (51,8%) e 3423 femmine (48,2%). Per quanto riguarda l’esposizione giornaliera davanti allo schermo, 3440 bambini (48,5%) hanno avuto meno di 1 ora, 2095 (29,5%) da 1 a meno di 2 ore, 1272 (17,9%) da 2 a meno di 4 ore e 290 (4,1%) da 4 a più ore.
RISULTATI DELLA RICERCA
Il tempo trascorso sullo schermo dei bambini è stato associato a un rischio maggiore di ritardo nello sviluppo della comunicazione all’età di 2 e 4 anni, così come per il problem solving.
CONSIDERAZIONI FINALI
L’utilizzo degli schermi in età precocissima rappresenta un problema pedagogico/educativo di rilevante importanza soprattutto considerando la gradualità di sviluppo del sistema nervoso centrale correlato all’età, che necessita di fasi di apprendimento progressive secondo i classici metodi di apprendimento non tecnologici.
Dott. Paolo Orio
LAVORATORI FRAGILI; ORA UN APPELLO AL PARLAMENTO PER UN LAVORO AGILE PER TUTTI
LANCIATA LA RACCOLTA DI FIRME PER LA PETIZIONE
Il gruppo “lavoratori fragili uniti” ha lanciato una petizione per chiedere al Parlamento di approvare subito una legge che tuteli tutti i lavoratori fragili, indipendentemente dalla loro mansione.
La petizione chiede che i lavoratori fragili possano svolgere la propria attività lavorativa in modalità agile, anche attraverso l’assegnazione di una diversa mansione.
Questa richiesta è motivata dal fatto che i lavoratori fragili sono più a rischio di contagio da virus respiratori, come il COVID-19, e che il lavoro in presenza può rappresentare un pericolo per la loro salute.
UNA RICHIESTA DI EQUITA’
La petizione sottolinea che è discriminatorio fornire protezione solo a coloro la cui mansione è compatibile con il lavoro agile, lasciando senza sostegno quei lavoratori che non possono usufruire di questa modalità.
Per garantire una tutela equa e senza distinzioni, la petizione chiede l’emanazione di una legge che preveda le seguenti disposizioni:
Definizione della finalità del disegno di legge, ovvero la tutela dei lavoratori dipendenti pubblici e privati il cui benessere psico-fisico è compromesso dall’ambiente lavorativo.
Stabilimento del lavoro agile come modalità di lavoro ordinaria per i lavoratori fragili, anche attraverso l’assegnazione di una diversa mansione.
Previsione di agevolazioni contributive per i datori di lavoro che consentono ai dipendenti fragili di svolgere un’altra mansione compatibile con il lavoro agile.
Copertura finanziaria del provvedimento.
Entrata in vigore al più presto del provvedimento.
UN DIRITTO COSTITUZIONALE
La petizione si conclude con un appello ai rappresentanti del Parlamento italiano a prendere in considerazione questa richiesta e ad adottare al più presto le misure necessarie per garantire la tutela di tutti i lavoratori fragili.
I lavoratori fragili, infatti, hanno il diritto di lavorare in sicurezza, di essere utili alla società, guadagnarsi uno stipendio e crearsi un futuro pensionistico.
La Repubblica italiana, come previsto dall’articolo 4 della Costituzione, è fondata sul lavoro, sulla salute e sul benessere psicofisico dei cittadini. Inoltre, l’articolo 3 della Costituzione afferma che la legge è uguale per tutti, senza discriminazioni di alcun tipo.
In questo contesto, la petizione dei lavoratori fragili è un importante passo avanti per garantire il rispetto dei diritti e della dignità di tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro condizione di salute.
Silvano Antori
LA LEGISLAZIONE ITALIANA SULLA CURA DELLA SOFFERENZA MENTALE
La battaglia intrapresa dal Difensore Civico Regionale della Campania contro le forme illegali di esternalizzazione delle prestazioni sanitarie di residenzialità psichiatrica territoriale ha posto rilevanti questioni in termini di legalità e di diritti inviolabili e ha anche offerto agli operatori una preziosa opportunità per una riflessione approfondita sulle leggi in base alle quali è organizzata la cura della sofferenza mentale oggi.
In Italia, il punto di svolta da uno stile di cura “custodialistico” a uno riabilitativo può essere rintracciato nella legge 180/78 (detta legge Basaglia), poi recepita nella legge 833/1978.
I postulati fondamentali circa la cura della salute mentale presenti in queste leggi possono essere sintetizzati nelle seguenti proposizioni:
– l’intervento pubblico non è più finalizzato al controllo sociale dei malati di mente, ma è diretto alla promozione della salute e alla prevenzione di tali disturbi;
– c’è uno spostamento dell’asse portante delle istituzioni assistenziali dagli interventi fondati sul ricovero ospedaliero a quelli incentrati sui servizi territoriali;
– sussiste la necessità di una programmazione di progetti terapeutici e di risocializzazione, con incremento di interventi che coinvolgano le reti familiari e sociali dei pazienti.
In tale quadro di riferimento, si sono poi succeduti due “Progetti Obiettivo Tutela Salute Mentale”:
a) – il primo del 1994 definisce l’organizzazione delle strutture del SSN in maniera dipartimentale, ponendo al centro dell’operare psichiatrico il Centro di Salute Mentale (struttura sanitaria territoriale, non ospedaliera);
b) – il secondo del 1999 sottolinea le priorità da affrontare per favorire e tutelare la salute mentale dei cittadini.
I LIMITI DELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
Purtroppo, sia il passaggio dalla visione custodialistica a quella della cura e riabilitazione, sia quello dalla centralità dell’ospedale a quella del territorio, sia il coinvolgimento delle famiglie e delle reti sociali stanno dando risultati molto al di sotto delle aspettative.
Tale discrepanza è dovuta alla mancanza di una definizione condivisa sia della natura della sofferenza mentale sia della sua cura.
E’ mancato il giusto equilibrio dei tre fattori (psicologico, sociale e biologico), con ridotta attenzione ai primi due.
Il 95% dei servizi, infatti, segue il modello a dominanza biologica. In tale orientamento, la malattia mentale si riduce a essere un disturbo neurologico, anche se non ancora acclarato; la cura elettiva è la farmacoterapia. Vige la invisibile camicia di forza farmacologica che a lungo andare cronicizza il paziente.
Inoltre i pochi modelli a dominanza sociale e psicologica si riducono ad “intrattenere” i pazienti addormentati dai farmaci. In questo contesto, il pregiudizio della inguaribilità del malato mentale è diventato di senso comune.
A livello dei servizi di salute mentale, inoltre, è difficile passare da un modello medico a un modello riabilitativo, in cui l’aspetto organico non sia l’unico, e neanche il più importante.
La presentazione dei dati delle figure professionali impegnate in Italia per lenire la sofferenza mentale ne è la prova più evidente.
Evidenziamo che, sommando le professioni biologiche/organiche (= medici e infermieri), abbiamo una percentuale di 67,1. Sommando le professioni sociali (= sociologi, terapisti della riabilitazione psichiatrica, educatori professionali, assistenti sociali, operatori addetti alla assistenza ed ausiliari) abbiamo una percentuale di 21,5. La percentuale delle professioni psicologiche è di 5,8.
Se i numeri parlano, dobbiamo concludere che la “rete” attuale parte da un’ideologia della sofferenza mentale prettamente biologica-organica. La prescrizione e somministrazione del farmaco, che nella pratica non dovrebbe richiedere molto tempo, utilizza la stragrande maggioranza delle risorse umane (= 67,1%). Seguono le professioni sociali, cioè risolvere i problemi pratici che questi pazienti creano (21,5%). Insignificante è la percentuale (5,8) dei professionisti che curano le ferite specifiche di questa patologia, ricostruendo le capacità di pensare e agire in base alle proprie visioni e di saper vivere in relazione con altri soggetti.
PROSPETTIVE DI SUPERAMENTO DEI LIMITI DELLA LEGISLAZIONE ITALIANA: PER UNA PSICO-RIABILITAZIONE DAL VOLTO UMANO
Se si vuole realizzare una psico-riabilitazione dal volto umano e aderente alle conquiste scientifiche si devono rivoluzionare tali percentuali, declinandole con i tempi necessari agli interventi secondo le diverse professionalità.
Il tempo necessario per la diagnosi psichiatrica, il controllo e la somministrazione degli psicofarmaci (medici/infermieri) è minore (20%) rispetto al tempo necessario (50%) per la psicoterapia e la psico-riabilitazione (terapisti della psico-riabilitazione/ psicologi/ psicoterapeuti) e a quello richiesto (30%) per creare le condizioni sociali di un corretto inserimento del paziente nella famiglia, nel lavoro e nella società (sociologi/assistenti sociali).
Oggi il modello integrato intersoggettivo, affermato in campo scientifico, nella pratica clinica viene praticamente sabotato dai responsabili della gestione della salute mentale facendo un danno al malato ed alla crescita scientifica.
Se non abbiamo paura di ritenere la sofferenza mentale una malattia specifica della soggettività ed intersoggettività, dobbiamo agire perché si invertano le percentuali delle professioni del fattore psicologico e di quello biologico-organico. Il 68%, infatti, dovrebbe essere attribuito alle professioni del fattore psicologico ed il 6% alle professioni del fattore biologico-organico.
Santolo Lanzaro
Manager in strutture residenziali psichiatriche territoriali private accreditate