La storia di Martina, o il tragico epilogo di Sara, ci mettono di fronte a una realtà sconcertante: l’età in cui ci si “fidanza” o si inizia a provare attrazione non è il vero nocciolo della questione. Il problema affonda le radici in un’incapacità, sempre più diffusa, da parte di alcuni ragazzi di accettare un rifiuto. Il “no” viene percepito non come una libera scelta dell’altro, ma come un affronto, un’offesa da vendicare. Questo denota una profonda immaturità emotiva e una distorta concezione delle relazioni, dove il desiderio dell’altro viene calpestato in nome di un preteso diritto.
Dove sono finiti i corteggiatori? Un grido d’allarme per l’arte dell’attesa.
Sembra quasi che l’arte del corteggiamento sia andata perduta. I giovani, abituati alla gratificazione istantanea offerta dal mondo digitale, faticano a comprendere il valore dell’attesa, della pazienza, della costruzione graduale di un rapporto. Si vuole tutto e subito, senza fatica, senza il “sacrificio” di dover conquistare l’altro con gesti, attenzioni, rispetto. Questa fretta di ottenere si scontra con la complessità delle emozioni umane e sfocia, in alcuni casi, in comportamenti prevaricatori e violenti. L’incapacità di coltivare il desiderio, di apprezzare la bellezza dell’attesa, è un sintomo di una profonda carenza nella formazione di individui capaci di relazioni autentiche e rispettose.
La genitorialità “assente”: un’eredità difficile per le nuove generazioni.
Ma da dove nasce questa incapacità di gestire le emozioni, di accettare i limiti, di relazionarsi in modo sano? Una risposta, amara ma necessaria, si trova nel ruolo dei genitori. Non si tratta di puntare il dito, ma di riconoscere che molti giovani di oggi sono, di fatto, “orfani” di un’educazione salda. Genitori fisicamente presenti, ma spesso assenti nel loro ruolo guida, permissivi all’eccesso o, al contrario, troppo pressanti su aspetti secondari, hanno abdicato alla loro responsabilità primaria: insegnare ai figli il valore del rispetto, dell’empatia, dei limiti. A dodici anni, l’età dovrebbe essere ancora quella del gioco, della spensieratezza, della scoperta del mondo attraverso la fantasia e l’amicizia, non quella dei fidanzamenti precoci e delle dinamiche relazionali complesse.
Ricostruire le fondamenta: educare al rispetto, all’attesa, alla galanteria.
Cosa possiamo fare allora? È necessario un cambiamento radicale, una vera e propria rieducazione dell’intera umanità, a partire dalle nuove generazioni. È fondamentale che i maschietti imparino fin da piccoli il valore della galanteria, intesa non come mero formalismo, ma come profondo rispetto per l’altro. Dovrebbero essere incoraggiati a coltivare interessi che stimolino la sensibilità, l’empatia, la capacità di esprimere le emozioni in modo costruttivo: la poesia, la musica, l’arte possono essere veicoli potenti per questo. I genitori, a loro volta, devono riappropriarsi del loro ruolo educativo, insegnando il valore del “no”, la differenza tra bene e male, il rispetto per l’autorità e per gli altri. È tempo di smettere di assecondare ogni capriccio, di difendere l’indifendibile e di permettere comportamenti irrispettosi.
Un futuro diverso è possibile: investire nell’educazione all’affettività e al rispetto.
È una grande tristezza assistere a giovani vite spezzate o compromesse in età così precoci. Queste tragedie ci impongono di fermarci, di riflettere e di agire. Il “modernismo che avanza” non può essere una scusa per l’abbandono dei valori fondamentali. È essenziale investire nell’educazione all’affettività, al consenso, al rispetto reciproco, sia in famiglia che a scuola. Solo così potremo sperare di crescere uomini e donne consapevoli, capaci di relazioni sane e costruttive, dove il “no” viene accettato e il “sì” è frutto di libera scelta e vero desiderio.
Rosaria Salamone, Avvocato
L’articolo coglie bene le cause dei comportamenti giovanili che sempre più frequentemente sfociano in eventi drammatici, eventi che per frequenza e ferocia destano grande allarme collettivo. Accanto alle cause più recenti (social media, in specie), ne andrebbero ancor più indagate le cause culturali più profonde che affondano le proprie radici in arcaiche concezioni del rapporto uomo-donna. Al di là dei progressi di facciata, permane infatti , anche in famiglie apparentemente “evolute”, la difficoltà ad accettare la conquista da parte della donna di maggiori spazi di libertà e autodeterminazione, non solo nei rapporti sociali in generale (lavoro, professioni, ecc.) ma anche nel campo delicato dei rapporti sentimentali (far capire ai figli maschi che il “no” della fidanzata, amica, collega, e’ un limite invalicabile, da rispettare sempre). Ciò fa sì che questi modelli culturali si trasmettano, anche per effetto di comportamenti emulativi ispirati alla logica del “branco”, ad ampie schiere di giovani.
In questo, è da accogliere in pieno l’invito dell’Autrice dell’articolo, a una sorta di palingenesi nei rapporti tra uomini e donne nella società di oggi